Signore e signori,
sono lieto di dare inizio oggi al Convegno che la Scuola lacaniana di psicoanalisi del Campo freudiano ha organizzato qui a Roma per celebrare il centenario della nascita di Jacques Lacan.
Questo centenario segue di poco il centenario della psicoanalisi stessa, celebrato da tutti coloro che fanno riferimento alla scoperta freudiana e all’invenzione della pratica psicoanalitica.
La vita di Jacques Lacan, infatti, si è svolta nello stesso arco di tempo in cui ha preso inizio e si è sviluppata la psicoanalisi.
Con Freud, Lacan è sicuramente uno dei nomi più significativi per la storia del movimento psicoanalitico. Storia che non è stata affatto indenne da problematiche, lacerazioni, ripensamenti, progressi, involuzioni e addirittura scomuniche, come quella di cui proprio Lacan fu oggetto. Tutte manifestazioni tipiche, forse, di ogni grande corrente di sapere che attraversa l’essere umano.
Lacan, personalmente, è stato come il vessillo per quanti hanno visto nella psicoanalisi non solo e non tanto una teoria nuova o una nuova modalità di filosofare sull’uomo e sulla vita. Poiché la psicoanalisi non è tutto questo. Soprattutto non lo è la psicoanalisi secondo Lacan. Poiché si tratta invece di una scoperta – scoperta sempre da rifare – di un sapere che non si sa di sapere ma che investe l’essere che parla al di là delle sue intenzioni e del suo volere, e che lo marchia a fuoco nella carne, con il sintomo, per esempio.
La celebrazione di oggi non è dunque solo per il Lacan teorico della psicoanalisi che ha provato e riprovato a tener aperta la falla da cui è apparsa a Freud un reale finora sconosciuto, ma è anche per il Lacan clinico, colui che forse meglio di nessun altro ha saputo maneggiare quello strumento impareggiabile e temibile che chiamiamo transfert.
Il Convegno si sviluppa lungo due linee di forza. Una prima linea è costituita da due prolusioni: la prima, di Judith Miller, figlia di Lacan, ha come titolo Jacques Lacan da Roma, e poi, domani, avremo la prolusione di Jacques-Alain Miller, il cui titolo, L’insegnamento di Jacques Lacan, è da considerare provvisorio poiché, essendo stato dato da me, egli ha ampia facoltà cambiarlo.
Abbiamo poi una seconda linea di forza che è costituita da tre tavole rotonde: una prima, che avrà luogo questo pomeriggio, dal titolo Lacan e la psicoanalisi; una seconda, domani mattina, dal titolo La psicoanalisi e il nuovo secolo e infine una terza, che avrà luogo domani pomeriggio, dal titolo Lacan e cultura contemporanea.
A queste tavole rotonde abbiamo invitato uomini eminenti della cultura, professori universitari di chiara fama, psicoanalisti della Scuola di Lacan, ma anche - e questa è una novità a cui tengo particolarmente, una novità almeno in Italia - sono stati invitati psicoanalisti dell’Associazione internazionale freudiana e junghiana.
Il nostro invito non è stato dettato da voglia di ecumenismo, se per ecumenismo intendiamo il fatto di rinunciare, gli uni e gli altri, alla logica del proprio discorso. Il nostro invito è stato dettato dalla volontà di superare steccati immaginari e di metterci, finalmente, a parlare insieme per eventualmente accordare i nostri violini, per rispondere agli interrogativi che ci provengono dal mondo attuale, poiché, da quando Freud ne ha parlato, ormai non possiamo più chiudere gli occhi di fronte al disagio crescente della civiltà. Chiunque fa riferimento alla scoperta freudiana sa di avere una responsabilità rispetto a questo disagio che è un problema generale che coinvolge non solo l’ambito del rapporto analitico ma addirittura l’ambito sociale e politico.
Abbiamo chiesto ai partecipanti delle tavole rotonde di essere concisi, non solo per permettere a tutti di intervenire, ma anche perché si inizi un dibattito. Come sapete l’organizzazione di una tavola rotonda richiede che l’imprevisto, il lapsus, il non detto, l’equivoco, addirittura il motto di spirito, possano far capolino: insomma lasciamo che l’inconscio ci metta il suo zampino. E’ una sfida che vogliamo correre. Ci diremo poi, alla fine del convegno, se siamo stati all’altezza, dell’inconscio evidentemente.