Dante e l’amore
Vi parlerò di Dante e dell’amore 1 .
L’amore in Dante lo possiamo connotare con quattro aggettivi. Abbiamo l’amore angelicato, l’amore infelice, l’amore coniugale e l’amore mistico.
Vi prego di avere come sfondo una problematica precisa: il cambiamento radicale della posizione della donna di cui Dante, più che attore, è solo un testimone. Per illustrare questo cambiamento, prenderò l’avvio dall’amor cortese.
L’amor cortese
L’amor cortese nasce in Provenza, si estende in Germania, in Italia e altrove, un secolo e mezzo prima di Dante. L’amor cortese è la più grande rivoluzione avvenuta nell’Occidente cristiano nel campo della relazione amorosa tra l’uomo e la donna.
Andrea Cappellano, uomo di Chiesa del XII secolo, è il teorico dell’amor cortese. “L’amore è una passione naturale che nasce dalla vista della bellezza dell’altro sesso” 2 , egli scrive. L’amor cortese non è un amore platonico, è un amore carnale. Tuttavia l’oggetto d’amore deve rimanere inaccessibile. E’ più importante la tensione del desiderio che la realizzazione del godimento. Il godimento carnale non è escluso, ma la Dama si concederà solo quel tanto che il desiderio resti insoddisfatto e impedire così alla passione di scemare.
L’inaccessibilità dell’oggetto amato è sancito dallo statuto sociale: la Dama è sempre la donna di un altro ed è, dal menestrello, elevata al rango di sovrana. Il vero amore può nascere solo in queste condizioni. Se incontri popolane che ti piacciono, dice Andrea Cappellano, “non esitare ad acconsentire alle tue voglie e prendile di forza 3 ”. Farà piacere a te e forse anche a loro. Ma non è amore. E’ amore quando ti indirizzi a una Dama di alto rango che si concede poco a poco, gradatamente o non si concede mai, almeno totalmente. L’atto sessuale completo uccide il desiderio. E l’ascesi serve solo per una raffinata erotica. Sono un uomo di Chiesa, egli conclude, ma sono concepito nel peccato, e pecco di lussuria “naturalmente” 4 .
Lacan considera l’amor cortese una forma di sublimazione, anzi un “paradigma della sublimazione” 5 , poiché dà “a un oggetto, che in tal caso è chiamato la Dama, il valore di rappresentazione della Cosa” 6 . Al “luogo dell’essere” 7 , viene la donna. Ma la donna non vi viene “in quanto donna, ma in quanto oggetto del desiderio” 8 . L’amor cortese, che Lacan ci dice essersi sviluppato come un’ “epidemia sociale” 9 , non solo dimostra l’incidenza del significante, ma rivela il posto strutturale di das Ding, collegato con la sublimazione, effetto di una privazione dovuta all’ “inaccessibilità dell’oggetto” 10 . Sublimazione che, del resto, sussiste anche quando la Dama si mostra compiacente alle attenzioni sessuali del menestrello. Infatti non solo l’ “oggetto sessuale può fare la sua comparsa (…) nella sublimazione” 11 , ma può addirittura rivelare qualcosa della struttura, come dimostra quel poema di Arnaut Daniel 12 , in cui la Dama chiede allo spasimante di “cornarle” 13 nel sedere, mettendo a nudo, “grazie a raffinati significanti” 14 il vuoto di das Ding. La Cosa, nel registro della sublimazione, dice Lacan, è sempre “rappresentata da un vuoto” 15 .
Lacan si dice molto meravigliato del fatto che in un’epoca in cui la sessualità era soda e rude, la donna, da puro oggetto di concupiscenza, sia stata elevata “alla dignità della Cosa” 16 . Una pista da seguire è la storia della sessualità nella tradizione cristiana che porta, secondo l’espressione di Lacan, a “certi punti paradossali” 17 . Del resto, il trattato di Andrea Cappellano stesso è paradossale, dato che vi si trova, a lato della vena cortese che dà alla donna un’aura divina, un’altra vena in cui la donna ha un’aura satanica, in quanto incarnazione del male e del peccato. Non secondario in questo contesto è l’elaborazione teologica dell’epoca, scissa tra varie dottrine più o meno eretiche, come il catarismo 18 , come anche l’imposizione in Occidente del celibato del clero, imposto nella Chiesa latina fin dal IV secolo ma che viene energicamente ribadito proprio pochi anni prima che Andrea Cappellano scrivesse il suo trattato sull’amor cortese 19 .
Anche il giovane Dante scrisse poemi sullo stile dell’amor cortese: è la Vita Nova, che Lacan considera un inno al desiderio 20 . E’ anche il Fiore, un poema scurrile che è una parodia del Roman de la Rose 21 .
La Divina Commedia consacra Dante sommo poeta del dolce stil novo. Dante canta Beatrice, sua coetanea, che “a li miei occhi apparve” 22 , a 9 anni e i cui sguardi si incrociano di nuovo 9 anni dopo, e che rimarrà “la donna mia”, dice Dante, anche quando Beatrice, figlia di Folco Portinari, sposerà Simone de’ Bardi. Poco dopo, a 24 anni, Beatrice muore.
L’amore per Beatrice è un amore angelicato. Il che vuol dire che, differentemente che nell’amor cortese, in cui il desiderio è sessuale, qui il desiderio è verso una donna divinizzata che conduce al godimento divino. Beatrice non guiderà Dante verso gli arcani dell’oggetto femminile, ma è quel “sol delli occhi miei” 23 , che lo guiderà attraversando tutto il Paradiso fino al bordo della visione beatifica in cui si rivelerà la Trinità divina.
Diversamente dall’oggetto dell’amor cortese che Lacan qualifica di “inumano” 24 , essendo solo un essere di significante, Beatrice rimane una donna nella sua singolarità, sebbene assurga a incarnare figure allegoriche. Tuttavia lei è la donna che fa esistere la divinità stessa, solo grazie a “uno sguardo, (…), a un battito di ciglia” 25 .
L’amore infelice
Non tutto dell’amor cortese si trasforma in Dante nell’amore angelicato. Lacan definisce l’amor cortese “una scolastica dell’amore infelice” 26 . Ce ne presenta una versione nel girone dei lussuriosi, che si trova appena superata la soglia dell’Inferno.
I dannati sono sospinti da un vento impetuoso. Tutti sono spaiati. Dante è attirato da due che “’nsieme vanno” 27 , come se solo a loro è concesso, da Dio evidentemente, che l’amore li unisca per l’eternità. Sono due amanti: Francesca da Rimini e Paolo Malatesta. E apprende da Francesca che la lettura del romanzo sull’amor cortese fra Lancillotto e Ginevra, moglie del re Artù aveva acceso la loro reciproca passione. Ma, Gianciotto, il marito di Francesca, poco ligio alle usanze cortesi che permetteva a una donna di avere, oltre al marito, non due, ma almeno un amante, li coglie in flagrante delitto di adulterio e li uccide.
Dante canta l’amore dei due amanti con un’anafora a tre facce, come la Trinità:
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui della bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense.
In primo luogo, l’amore di Paolo verso Francesca è causato dalla bellezza del corpo di lei. Poi, Francesca è presa a sua volta dall’amore a causa dell’amore che Paolo le rivolge. E’ la versione dantesca che l’amore è sempre reciproco. Infine, l’amore li consegna alla morte. Sostituendosi al Giudice divino, Francesca condanna quel macellaio di marito, ancora vivo, al più profondo dell’Inferno.
Dante interroga Francesca sull’incontro con Paolo. Francesca risponde secondo le teorie amorose di Andrea Cappellano 28 .
Noi leggiavamo un giorno per diletto
Di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e senza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
Quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
Esser baciato da contanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante. (V, 127-138)
Notate la discrezione di Dante nell’indicare l’atto sessuale tra i due amanti, causato dalla lettura di un libro d’amore.
Questo canto, che riprende una storia avvenuta nel 1286 nel castello di Gradara, ha aspetti autobiografici. Nonostante l’amore angelicato verso la sua Beatrice, sappiamo, anche per sua confessione, che per Dante l’amore era fatto di carne: Francesca è una Beatrice terrena e Paolo è la controfigura di Dante. Lo riprova la compassione, la tenerezza, addirittura lo svenimento che lo colse quando Francesca terminò il suo racconto:
e caddi come corpo morto cade.
Il legame che lega all’Inferno Paolo e Francesca è un’eccezione che Dante fa ai due amanti adulteri, poiché contravviene alla pena del contrappasso. Invece di odiarsi, gli amanti continuano ad amarsi e per due volte Francesca sottolinea il reciproco piacere di stare insieme, seppur all’Inferno.
Lacan nota che Dante “nei cerchi del suo Inferno omette quello del coniungo senza fine” 29 . Solo a due amanti adulteri è concesso, anche all’Inferno, il fantasma dell’amore. L’unione coniugale, se fosse eterna, sarebbe infernale.
L’amore coniugale
Andrea Cappellano esclude categoricamente la passione amorosa tra marito e moglie. Per quanto riguarda Dante si sa, per certo, che era fidanzato con Gemma Donati a 12 anni, età in cui gli muore il padre. Con Gemma si sposa e avrà tre figli. La moglie non lo segue quando Firenze, dopo averlo condannato a morte, lo condanna all’esilio. Dante non nomina mai né il padre, di cui si vergogna forse perché usuraio, né nomina mai la moglie.
Anche qui bisogna non dimenticare il contesto sociale e culturale dell’epoca: la donna era dell’uomo che la sposava. L’adulterio della donna era punito. Non quello dell’uomo. E poiché le vergini erano tabù, l’uomo si occupava delle mogli altrui 30 . Boccaccio, nel Decamerone, ci racconta con dovizie storie piccanti.
Bisogna inoltre tener presente del contesto ideologico che si esprimeva nelle dispute teologiche. Diversamente da quanto si pensa, all’epoca la Chiesa non aveva ancora stabilito in modo definitivo la dottrina sacramentaria sul matrimonio, che verrà sancita solo al Concilio di Firenze nel 1439 31 e che avrà la versione che noi conosciamo nel Concilio di Trento nel 1563 32 . Il primo intervento del magistero della Chiesa sul sacramento del matrimonio è solo del IX secolo 33 . Nonostante l’elaborazione della dottrina teologica, il matrimonio era preminentemente sotto la legge dello scambio e non ancora sotto il sigillo del sacramento.
L’amore mistico
Dante non è un mistico. Nonostante “l’aspirazione al rapimento” 34 , Dante resta un uomo di passioni umane. Quando canta l’amore mistico indica al lettore l’incomunicabilità dell’esperienza, come qualcosa che è al di là dell’umano:
Trasumanar significar per verba
Non si poria… (Par., I, v. 70)
Per parlare di cose divine, Dante si affida a mani esperte: ai grandi teologi della scolastica e ai grandi mistici medioevali.
Beatrice, incarnando la teologia, “la scienza sacra” 35 secondo l’espressione di Lacan che ha letto Etienne Gilson 36 , guida Dante alla scalata del Paradiso. Ma sarà san Bernardo da Clairvaux, il mistico monaco cistercense, a pregare per lui la Vergine Maria che interceda presso il Figlio affinché a Dante sia concessa la visione beatifica.
Siamo all’ultimo canto del Paradiso. Esso è composto di due parti: una prima riguarda la preghiera di san Bernardo alla Vergine e una seconda la visione della Trinità.
La visione della Trinità è il punto culminante. E’ perfetto come trattato trinitario, ma è scarno, molto geometrico e poco mistico. Per illustrare la visione della Trinità, Dante forse ricorre, senza citarla, a una santa monaca, Ildegarda di Bingen 37 , che aveva visioni a ripetizione, ritrascritte da amanuensi fedeli, essendo lei quasi analfabeta. La Trinità si presenta sotto forma di tre anelli di tre colori, ogni anello essendo equivalente all’altro:
Nella profonda e chiara sussistenza
dell’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza;
e l’uno dall’altro come iri da iri
parea reflesso, e ‘l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri. (vv.115-120)
Commenta Lacan: “una simile religione è la vera (…) dato che ha inventato questa cosa (…) la Trinità. Essa ha visto che ce ne vogliono tre. Ci vogliono tre anelli di consistenza uguale affinché ‘niente’ funzioni. E’ tuttavia curioso che tutto ciò produca questo rispetto all’amore” 38 .
Veniamo ora alla prima parte del canto. San Bernardo si rivolge alla Vergine Maria:
Vergine madre, figlia del tuo figlio
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Perché Dante assegna a san Bernardo un posto così eminente? Glielo assegna perché san Bernardo è un attore principale nei cambiamenti dell’epoca. Per attenerci all’aspetto che ci interessa è lui a operare un cambiamento nello statuto della donna e nel rapporto tra uomo e donna.
Tra parentesi dirò anche che egli è all’origine di un altro cambiamento, quello dell’istituzione di un funzionamento democratico all’interno dei monasteri, dove il superiore non è più a vita ma sarà eletto ogni tre anni, per poi tornare a fare il semplice monaco 39 .
Nella Divina Commedia, san Bernardo canta la Madonna, come il trovatore canta la sua Dama. Sappiamo che i rapporti tra l’amor cortese e la concezione dell’amore mistico hanno fatto scorrere fiumi d’inchiostro 40 , come sappiamo che Lacan si è interessato alla questione.
Lacan si è interessato al paradosso messo in luce dal gesuita Rousselot 41 tra la teoria dell’amore fisico e l’amore estatico. Come conciliare l’amore fisico in cui l’amante ritrova se stesso grazie all’amore, e l’amore estatico in cui, al contrario, l’amante perde se stesso nell’amato?
Lacan si è interessato anche alla tesi di Etienne Gilson che sottolinea le differenze tra amor cortese e amore estatico 42 : nel primo è in gioco il desiderio, nel secondo il godimento. L’amante cortese desidera la Dama, il mistico gode di Dio.
Solo che Lacan, per spostare l’amore dal registro del desiderio e integrare l’amore nel registro del godimento deve risolvere la questione del fallo freudiano. Solo quando egli riuscirà a risolvere l’enigma della sessualità nell’amore e scoprire inoltre che non-tutto è sotto il segno del fallo, solo allora potrà parlare di un godimento Altro. E si passerà allora dall’insegnamentto del seminario sull’ Etica a quello di Ancora.
Segnaliamo tre dettagli come indici di questo spostamento: Lacan non cita mai san Bernardo nell’ Etica nei capitoli consacrati all’amor cortese. Secondo, nel seminario sull’ Angoscia egli definisce la grande mistica Teresa d’Avila, una soda “scopatrice” 43 . Terzo, in Ancora dirà invece che i mistici godono, ma che “non ne sanno nulla”. E che non si può “ricondurre la mistica a faccende di fottere” 44 .
Torniamo a Dante.
San Bernardo chiama la Vergine Maria:
termine fisso d’eterno consiglio.
Dante prende così posizione in una disputa teologica precisa, per bocca di san Bernardo. Situo il contesto. Siamo al di là dell’anno mille. Sopite le grandi dispute trinitarie, divampa un’aspra battaglia sullo statuto di Maria, la vergine madre di Dio.
Poniamo il problema in questi termini: fino al tempo di san Bernardo, Maria è vergine perché madre di Dio. Da allora si sviluppa una concezione teologica esattamente rovesciata, che non annulla la prima: Maria è madre di Dio perché vergine.
Le due formule interrogano ciò che muove la volontà di Dio. Nella prima formula è centrale il Cristo. Maria è vergine solo perché madre del Cristo. E’ un privilegio. L’eccezione è il Cristo, poiché, nella mitologia cristica, egli è l’unico uomo a cui non si applica la legge di tutti gli uomini, essendo uomo ma anche Dio.
Nella seconda formula Maria è madre di Dio perché vergine. Qui è messa in evidenza una singolarità di questa donna che non entra in competizione con l’eccezione, che è il Cristo. Maria è scelta da Dio proprio perché vergine e umile, termini che designano il suo essere vuoto, fatto di pura mancanza nel corpo e nell’anima. E’ come se Dio si fosse innamorato di lei perché vuota, tanto da volere la creazione, l’incarnazione e la redenzione proprio a causa di quel ‘niente’ che ella è. L’annunciazione è resa possibile perché vuota. Il Magnificat è l’inno a questo vuoto, all’ hortus conclusus in cui Dio si compiacque 45 . Il passo è breve dal paganesimo.
Per i Padri e i Dottori della Chiesa è fondamentale identificare questo vuoto con la verginità: Maria è vergine ante partum, post partum et in partu, essi dicono, con dettagli da esperti ginecologi. Non sarebbe vano accostare quest’affermazione con lo statuto della vergine-tabù in Freud e con il fatto che Lacan attribuisce alla vergine freudiana, la doppia negazione nelle formule della sessuazione 46 .
Ad ogni modo lo spostamento d’accento della posizione della Vergine Maria diventa del tutto centrale nell’economia della cultura occidentale, tanto da interrogare Panofsky su questo nuovo “spirito di culto per la donna” 47 .
Questa battaglia teologica si svolge durante diversi secoli: le prime avvisaglie iniziano nel IV secolo e si terminerà solo nella metà del XIX secolo.
Sebbene i protagonisti non siano sempre nel campo supposto, abbiamo da una parte l’armata tomista, con san Tommaso d’Aquino e Aristotele come grande ispiratore: la loro tesi, che si sostiene sull’identità tra la logica e l’intelletto divino, è che non è accettabile uno statuto di eccezione oltre a quello del Cristo. Dall’altra parte abbiamo l’armata agostiniana, con Duns Scot, il catalano Raymond Lull, e con Platone sullo sfondo: la loro tesi, che pretende che la volontà divina può fare eccezione alla logica istituita dall’intelletto divino, è che la Vergine Maria esige uno statuto particolare.
La disputa, che ha delle strane affinità con la questione sulla femminilità nei postfreudiani, perché arrivi a termine dovrà superare due ostacoli. Primo: mantenere che l’eccezione è una sola, il Cristo. Secondo: l’essere vuoto di Maria è sì una mancanza, ma non equivale al male e al peccato.
Ora, se il male si trasmette con la concupiscenza, come preservare Maria dal male e dal peccato essendo stata concepita tramite un atto sessuale? Qui si iscrive il dogma dell’Immacolata Concezione 48 , proclamato l’8 dicembre 1854, termine della battaglia, e che sancisce due cose: Maria ha il privilegio di essere immune dal peccato, ma non è un’eccezione dal momento in cui, nel Concilio di Trento, la Chiesa non identifica più la concupiscenza con il peccato 49 .
Ma perché tale accanimento sulla Vergine Maria? Perché il rapporto tra Dio e Maria è una metafora di un altro rapporto, quello che il profeta Osea indica come l’alleanza tra il Dio di Israele con il suo popolo, ripreso poi, come ricorda Lacan, tra il Cristo e la Chiesa, come sua “sposa” 51 , o tra il Verbo e l’anima, o ancora, nella teologia dei nostri tempi, tra Dio e l’uomo 50 .
Si tratta di un rapporto burrascoso, poiché Dio è marcato dal segno della fedeltà, mentre il suo partner è marcato dal segno della mancanza. Nel Vecchio e nel Nuovo Testamento questa mancanza oscilla tra la prostituta e la vergine, come ritroverete nell’ Apocalisse.
Ora, in san Bernardo 52 e nei mistici la mancanza è cantata nei termini dell’amore del Cantico dei cantici ma anche nei termini sensuali di Ovidio e Catullo. E’ per questo tramite che l’amore rientra nel rapporto coniugale: in quanto segno - sacramentum – dell’unione tra il Verbo e l’anima.
Lacan considerava l’amor cortese come “un modo assolutamente raffinato di supplire all’assenza di rapporto sessuale, facendo finta che siamo noi (uomini) a ostacolarlo 53 ”. Egli si era interessato al fatto che l’amor cortese avesse visto “l’ascensione dell’amore cristiano” 54 che arriva a situare l’amore al posto del desiderio.
Infatti, tutta la costruzione cristiana tende a far sì che sia proprio l’amore a essere “ciò che supplisce al rapporto sessuale” 55 . Ma, come dice Lacan, “parlare d’amore è già di per sé un godimento” 56 .
Ritorniamo a Dante, per ritrovarvi l’amore edipico, almeno nella forma dell’amore filiale.
Nel 1321, Dante, a 56 anni, muore in esilio a Ravenna. Gli sono accanto i figli, Piero, Jacopo e Antonia, anch’essi condannati a morte e all’esilio a causa del padre. Dopo aver chiuso gli occhi al padre morto, Antonia torna in convento. Il suo nome da religiosa è Beatrice.
Intervento al Palais des Congrès, AMP Parigi, luglio 2002.
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