Lacan affermava di non sentirsi a suo agio rispetto all'arte, di provare un certo “imbarazzo”, mentre considerava che Freud ci “sguazzasse”, sebbene “non senza danno”, come afferma nel testo che aveva scritto a mo’ di prefazione all'edizione inglese del Seminario XI, tradotto in italiano su questo numero della rivista.
L'interesse di questo breve scritto, in questo contesto, è molteplice. Per il lettore italiano esso viene a completare la recente pubblicazione della nuova edizione per i tipi di Einaudi del libro undici del seminario, dal titolo I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi.
Si tratta di un seminario centrale e di svolta nell'insegnamento di Lacan. Non solo per essere stato il primo pubblicato in Francia. Non solo perché Lacan vi nomina l'inconscio ricorrendo a quattro concetti che chiamerei classici ma rivisitandoli in una nuova lettura. Non solo perché mette a punto quell'elemento in meno - l'oggetto perduto freudiano - nella sua nuova veste di elemento in più, da lui chiamato l'oggetto piccolo a. Ma anche perché è il primo seminario pronunciato in netta rottura con l'Internazionale freudiana, da cui era stato scomunicato, se si vogliono usare i termini di Lacan. Eppure la svolta essenziale è interna al suo insegnamento. È quella svolta che ci permette di dire che Lacan non è solo un lettore di Freud ma lo scopritore di un inconscio poco immaginario e molto logico, e l’inventore di strumenti che permettono di affrontare in modo inedito il reale in gioco nel sintomo.
Il Seminario XI termina con alcune lezioni che trattano in modo rapido la formazione dello psicoanalista e il suo posto nella cura. È la tematica che ritroviamo in questa prefazione, dove più che mai traspare la preoccupazione di Lacan perché uno psicoanalista misuri il divario tra la sua posizione soggettiva e il posto che la struttura dell'inconscio esige da lui per essere all'altezza di un compito impossibile.
Inoltre questo breve testo di Lacan termina, come abbiamo già detto, con un passo sull'arte. E' un motivo in più perché esso si trovi all'inizio di questo numero della rivista, numero in cui si tratta di psicoanalisi e arte.
Sia la psicoanalisi sia l'arte, ma anche la religione e la scienza come ricorda Lacan, ruotano intorno a ciò che, nell'essere che parla, strutturalmente manca. Chiamiamola mancanza in un registro, buco in un altro, oppure vuoto, per utilizzare un termine caro al Lacan del seminario L’etica della psicoanalisi. Si tratta comunque di un non-pieno assolutamente essenziale per l’essere che parla: è il posto di quell'oggetto freudiano che, se non è perduto perché non è mai stato, esige tuttavia che esso sia ritrovato.
Il vuoto, essenziale dunque, è al centro della psicoanalisi come dell'arte. Seppure in modo del tutto diverso. Utilizzerò, per riassumerlo, un interrogativo e la sua risposta che ritrovo nel testo di Massimo Recalcati, che ha curato la sezione “Psicoanalisi e Arte” di questo numero della rivista: “Cos’è un’opera d’arte alla luce della psicoanalisi? (…) L’arte non è il vuoto della rappresentazione quanto piuttosto la rappresentazione del vuoto”.