La Legge in Jacques Lacan

Di Di Ciaccia, 2017
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Jacques Lacan era uno psicoanalista. Ed è in relazione a questa sua funzione che sviluppa un insegnamento per rendere leggibile e fruibile la scoperta freudiana.

Sul tema della Legge, la sua riflessione si sviluppa tra due poli: da un lato il rapporto della Legge con il linguaggio, dall’altra il rapporto della Legge con il reale.

Il complesso di Edipo

Per Lacan il dato clinico è il punto di partenza. Ma il dato clinico deve essere letto. A questo scopo egli si appoggia su un punto esterno o, per dirla con Jacques-Alain Miller, cerca “un punto di Archimede”. 2 Il dato clinico è un dato imprescindibile, ma ha bisogno di una chiave di lettura, soprattutto per quanto riguarda quello che Freud ha chiamato inconscio, proprio perché, secondo la definizione di Lacan, l’inconscio è “un sapere che si sa senza saperlo”. 3 Per esempio, nei Complessi familiari egli si appoggia su Durkheim e sulla sociologia. 1 Poi, partendo dal concetto generale di complesso, egli vi inserisce un complesso particolare: il complesso di Edipo.

Così Lacan dà un primo abbozzo, in forma sociologica, di quello che sarà il simbolico messo in atto dal complesso di Edipo. In altri termini, tramite il riferimento alla società e alla cultura, egli tenta di situare i dati della psicologia individuale in un insieme che la trascende. È in questa ottica che si situerà più tardi quella che egli chiamerà la realtà transindividuale. È sempre su questa lunghezza d’onda che ricorre a Claude Lévi-Strauss e all’etnologia.

C’è una chiave di lettura che per Lacan rimarrà basilare lungo tutto il suo insegnamento: la tripartizione immaginario, simbolico e reale. Si tratta di una chiave inedita nella teoria psicoanalitica.

Che ne ricava da questa tripartizione? Che l’inconscio è una funzione simbolica e, in quanto tale, impone le leggi che sono strutturali a elementi che provengono dall’immaginario, siano essi frutto della percezione, della fantasia o della libido stessa.

Nella ripartizione immaginario/simbolico Lacan “si centra sulla funzione simbolica, su ciò che Lévi-Strauss chiamava le leggi di struttura che si impongono a degli elementi articolati, degli elementi che sono tratti da tutti i registri della realtà e dell’immaginario” 4 .

Lacan identifica le leggi della costituzione soggettiva con la legge edipica: nel vivente che parla il campo del simbolico e il complesso di Edipo coincidono.

“Lacan assegna dunque all’Edipo la forza di strutturare il mondo umano. L’Edipo è il principio normativo fondamentale e universale, la legge primordiale che sovrappone il regno della cultura al regno della natura. Legge che acquista nella proibizione dell’incesto valore particolare di cardine per ogni soggetto” 5 .

Se Freud ha tanto insistito sul complesso di Edipo è perché per lui la Legge è presente ab origine. “La Legge è lì fin da principio, da sempre, e la sessualità umana deve realizzarsi tramite e attraverso di essa. Questa Legge fondamentale è semplicemente una legge di simbolizzazione” 6 . Il complesso di Edipo è quindi “ciò che del registro della Legge risuona nella vita individuale” 7 .

L’Edipo ha quindi due versanti. Da una parte esso coincide con la legge simbolica che organizza il mondo degli uomini. Da questo punto di vista può essere equiparata a una legge della natura: ogni essere umano è automaticamente in quel simbolico che si esprime nel complesso di Edipo. Dall’altro lato è una legge che stabilisce una radicale limitazione del godimento nell’umano, limitazione che si riassume nella probizione dell’incesto. Questa limitazione, che ha un valore universale, deve però essere iscritta individualmente per ognuno nella propria storia personale.

“In questo contesto ci si può chiedere cosa sia la Legge, la Legge con la L maiuscola, di cui Lacan ha valorizzato l’istanza prima del suo ultimo insegnamento. Il termine di Legge corre in tutti i suoi seminari, a partire dal primo. È quello che lo orienta nella sua elaborazione sulla psicosi, sia per quel che arriva a trarne del rapporto all’oggetto, che in quello che ha definito del desiderio. La Legge è la Legge edipica, la Legge del Nome-del-Padre, quella che dice ‘no’, nel senso che interdice […]. Il campo del linguaggio è fatto di questo ‘no’. Il campo del linguaggio, di cui il significante è l’elemento basico, si sostiene a partire da questo annullamento” 8 . Si tratta di un interdetto che ha la proprietà di costituire il desiderio. “Questo interdetto è anche l’indicazione del godimento in quanto costituisce il marchio della sua interdizione e implica al contempo un simbolo e il suo sacrificio: il fallo, il cui sacrificio è la castrazione” 9 .

Lacan lo dice in questi termini: “Questa è la sola indicazione di quel godimento che nella sua infinitezza comporta il marchio della sua proibizione, e che, per costituire questo marchio, implica un sacrificio: quello il cui atto è tutt’uno con la scelta del suo simbolo: il fallo” 10 .

Questo doppio aspetto spiega perché il complesso di Edipo sia universale, necessario e atemporale, ma sia anche contingente e legato alla vita concreta di ogni soggetto. Questi due aspetti del complesso edipico rendono conto della necessaria articolazione tra diacronia e sincronia nella costituzione soggettiva.

Questi due versanti si riuniscono nel rapporto che l’umano ha con la parola. È la parola che rende umano il vivente. E alla domanda “Che cos’è la Legge? – posso rispondere con Lacan che la Legge è il linguaggio” 11 .

Le leggi della parola

Agli inizi del suo insegnamento Lacan porta la sua riflessione sulle leggi della parola.

Esse sono alla base della convivenza umana, tipiche dei viventi che parlano. Egli arriva fino a dire che i dieci comandamenti non sono altro che le leggi della parola. Il Decalogo regola infatti i rapporti del soggetto con il proprio simile e con l’Altro, ossia con quelle istanze in cui prende forma il simbolico.

I comandamenti della parola sono leggi umaniste.Per dirla con J.-A Miller, sono leggi che, pur “senza nominarlo, proibiscono l’incesto con la madre. Queste leggi sono i comandamenti dell’Altro in quanto riguardano l’extimité del godimento. Sono leggi che, senza che sia detto, riguardano il godimento inter-detto” 12 .

Nel primo tempo del suo insegnamento per Lacan “sono le leggi della parola che costituiscono la struttura dell’inconscio”. 13 L’analisi non è nient’altro che un procedimento in cui l’umano chiede di essere riconosciuto come soggetto. La fine dell’analisi coincide quindi con l’avvento del soggetto alla propria identità attraverso la mediazione dell’analista. Si tratta di un riconoscimento inteso come coscienza di sé, riconoscimento di “un soggetto hegeliano che aspira a ricevere il suo essere attraverso la mediazione dell’altro” 14 . La tesi di Lacan dell’epoca si riassume nel fatto che tutti i desideri umani, intesi al plurale, si concentrano in uno solo: il desiderio di riconoscimento.

Occorre dire che se Lacan si fosse fermato a questo punto, nulla avrebbe giustificato che Freud fosse esistito. Bastava Spinoza, con la sua definizione che il desiderio è l’essenza dell’uomo. Bastava Hegel per il quale il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro.

Per Freud invece il desiderio inconscio rimane indistruttibile. Il desiderio inconscio non si evapora, nonostante tutti i riconoscimenti. Ecco che cosa insegna la pratica clinica della psicoanalisi per ogni soggetto nevrotico, isterico o ossessivo che sia.

È a questo punto che Lacan, per risolvere il dilemma che pone il desiderio indistruttibile si volta verso le leggi del linguaggio. Lascia Hegel e cerca il suo punto d’appoggio in de Saussure e Jakobson. Mette quindi in opposizione alle leggi della parola le leggi del linguaggio. Opposizione che non è “apparente, ma latente” 15 , scrive J.-A. Miller, a cui dobbiamo il merito di averla messa in luce.

Le leggi del linguaggio

Il fatto di passare dalle leggi della parola alle leggi del linguaggio implica una strutturazione completamente diversa dell’inconscio. Mentre nel “Discorso di Roma” 16 e in “Funzione e campo” 17 dominano le leggi della parola, che sono quelle del riconoscimento e che si dispiegano in modo dialettico, nell’ “Istanza della lettera” 18 troviamo in primo piano le leggi del linguaggio, prelevate dalla linguistica e dallo strutturalismo. Si tratta della coppia significante/significato di de Saussure e la coppia metafora/metonimia di Jakobson.

L’inconscio non è più solo l’effetto della parola, ma l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Il desiderio non si arresta nell’essere riconosciuto, ma è portato sulle onde dell’articolazione significante. E qui Lacan spiega l’indistruttibilità del desiderio inconscio con la metonimia e con il perseverare della memoria inconscia.

Le leggi del linguaggio, come la metafora e la metonimia, operano nella catena simbolica e assoggettano l’umano alle sue leggi. Da qui la definizione di Lacan: “il sintomo è una metafora […], il desiderio è una metonimia” 19 .

Tutto questo si comprende se si considera che a livello delle leggi della parola il desiderio di riconoscimento concerne l’aspetto cosciente, ed è ciò che l’individuo vuole. Tuttavia a livello inconscio il desiderio del soggetto rimane indistruttibile e solo le leggi del linguaggio riescono a renderne conto. L’opposizione tra desiderio cosciente e desiderio inconscio è sovente motivo di un’analisi, quando la persona si trova diviso tra l’io cosciente e il soggetto dell’inconscio: vuole quello che non desidera e desidera quello che non vuole. E la fine dell’analisi avviene quando si vuole ciò che si desidera e si desidera ciò che si vuole.

Il desiderio dell’io cosciente è dunque quello di voler essere riconosciuto. Il desiderio del soggetto dell’inconscio è quello di voler essere interpretato, ossia che si punti al significato inconscio, latente, al di là del volere manifesto.

Nella “Direzione della cura” Lacan precisa il problema in questi termini: “Fare che [il soggetto] vi si ritrovi [nel suo desiderio] come desiderante è l’inverso del fare che vi si riconosca come soggetto, perché il ruscello del desiderio scorre come in derivazione della catena significante” 20 . Poiché, infatti, il desiderio inconscio è portato sulle onde della catena significante che si dice in analisi nell’associazione libera. Ed è per questo che egli poco dopo afferma che se il sogno è fatto per il riconoscimento, non si può più tuttavia terminare dicendo: “del desiderio. Giacché il desiderio […] si coglie solo nell’interpretazione”.

L’Altro e la legge

Il rapporto intersoggettivo, affinché si sostenga, non può mantenersi sul puro rapporto immaginario, poiché ci vuole un terzo che sia garante di questo rapporto. È in questo modo che interviene il simbolico, e raddoppia l’asse che l’io intrattiene con il proprio simile, tramite un altro asse che comporta il soggetto e il grande Altro.

Il lettore avrà riconosciuto qui le coordinate dello schema L di Lacan 21 . Il primo asse, chiamato immaginario, è insufficiente per permettere il funzionamento delle relazioni umane, soprattutto di quella analitica. Occorre che quest’asse sia raddoppiato dal simbolico. Lacan arriverà a dimostrare che in Freud stesso ogni fallimento della cura è causato dal fatto che il paziente fa scadere l’analista dall’Altro simbolico all’altro immaginario. Tuttavia l’esigenza di ognuno, quando ci si indirizza a un altro, comporta necessariamente l’implicazione di rivolgersi “all’Altro come assoluto” 22 .

“L’Altro come assoluto è per l’appunto l’Altro che è a fondamento dell’esistenza del soggetto nella parola. È l’Altro per cui è possibile dire: ‘Tu sei la mia donna’, tramite cui, dopo aver catturato l’Altro in questo significante, il soggetto si trova a sua volta avere un fondamento nella sua identità predicativa, come un: ‘Io sono il tuo uomo’, perfino come un: ‘Io sono un uomo’” 23 .

Poco prima degli anni ’60 Lacan articola la normalità dell’umano intorno a un significante particolare, che chiamerà Nome-del-Padre, significante che riprende dalla “religione” 24 . È un significante il cui fallimento è posto da Lacan come elemento causale della psicosi: si tratta della forclusione o “preclusione del Nome-del-Padre” 25 .

In questo tempo del suo insegnamento il Nome-del-Padre è il nome di quel significante che nell’Altro rappresenta l’Altro. È dunque un significante con un compito speciale, quello di raddoppiare l’Altro, garantendolo e rendendolo consistente. Lacan lo dice in questi termini: il Nome-del-Padre è il “significante che nell’Altro, in quanto luogo del significante, è il significante dell’Altro, in quanto luogo della Legge” 26 . Ci sono quindi due posizioni dell’Altro, il che comporta un’auto-inclusione dell’Altro. In altri termini l’Altro è come un catalogo che contiene anche se stesso. Il che vuol dire che c’è l’Altro dell’Altro.

Nella struttura logica rappresentata in questo schema l’altro immaginario è raddoppiato dall’Altro simbolico, ma quest’ultimo viene a sua volta raddoppiato dall’Altro della Legge: c’è un garante dell’Altro, che è l’Altro dell’Altro, che è l’Altro della Legge.

Fino a questo punto l’Altro è consistente, poiché è retto e governato dall’Altro della Legge, imitando così il reale della natura. Possiamo definire religiosa questa concezione dato che il raddoppiamento dell’Altro porta una garanzia che si estende a tutto: “Le religioni sono veramente capaci di dare un senso a qualunque cosa” 27 , ricorda Lacan.

Ma se l’Altro è consistente non si vede quale sia il posto del soggetto e come sia possibile includere l’oggetto se non riducendolo al significante. Occorre quindi che l’Altro non sia consistente, ed è per questo che Lacan arriva a confidare quello che egli chiama “il grande segreto della psicoanalisi. Il grande segreto è che non c’è l’Altro dell’Altro” 28 .

A questo punto lo schema L non è più sufficiente per introdurci nei meandri dell’esperienza psicoanalitica. Ed è per questo che Lacan produrrà quello che viene chiamato il Grafo del desiderio, dove il punto centrale è quel matema che indica la inconsistenza dell’Altro, che è il matema centrale della psicoanalisi: S(A/). “La A maiuscola barrata vuol dire questo: in A – che non è un essere bensì il luogo della parola, il luogo in cui risiede […] l’insieme del sistema dei significanti, vale a dire l’insieme di un linguaggio – manca qualcosa. Questo qualcosa che vi fa difetto non può essere altro che un significante, da cui la S” 29 . S(A/) è il matema che prefigura la formula dell’ultimo Lacan che il reale è senza legge.

Non la legge ma la causa

Le leggi del linguaggio permettono di conoscere quali sono le leggi che regolano le formazioni dell’inconscio. Tuttavia sia quando si tratta delle leggi della parola, sia quando si tratta delle leggi del linguaggio, il concetto stesso di legge conferisce a Lacan “una sicurezza quasi scientista” 30 .

È così che egli affronta la scoperta freudiana: l’inconscio è determinato in modo assoluto da delle regole. Ed è così che egli intende la legge rispetto al funzionamento dell’inconscio: la legge è intesa come una programmazione che risponde a delle regole, che egli cerca di scrivere in forma di matemi. “Questa ispirazione non si ferma ai primi anni dell’insegnamento di Lacan, poiché è presente anche quando cerca di mettere insieme l’algoritma del transfert, organizzando tutta l’esperienza analitica” 31 , com’egli fa nella sua “Proposta del 9 Ottobre” 32 .

Nel suo “Seminario su La lettera rubata” Lacan illustra a dovere la rete che funziona, nell’inconscio, secondo la legge significante. A questo riguardo Lacan parla di “autonomia del simbolico” 33 , ed è questa autonomia che permette di considerare in modo adeguato quello che in psicoanalisi viene chiamata associazione libera.

Tuttavia la determinazione simbolica, che è una pura conseguenza di una legge significante, “comporta un determinismo totale” 34 . Essa dovrebbe permettere una predizione che collegherebbe in perfetta omogeneità il futuro e il passato. In questo contesto la sorpresa, che è il segreto dell’interpretazione analitica, sarebbe impensabile.

Lacan si domanda che cosa deve sapere l’analista nell’analisi. L’analista deve sapere, certo, come funziona l’inconscio. Ma lo psicoanalista deve sapere anche un’altra cosa: “ignorare ciò che sa” 35 . Non basta conoscere le leggi del funzionamento dell’inconscio, poiché queste leggi non sono le leggi della soggettività.

Che vuol dire? Che al determinismo delle leggi del funzionamento non corrisponde un determinismo nella soggettività umana.

A partire dallo scientismo di Lévi-Strauss, Lacan ha percepito i limiti della legge nella psicoanalisi, ossia i limiti delle regole del funzionamento dell’inconscio, che sono quelle della combinatoria. Nella psicoanalisi la combinatoria determina il funzionamento, ma non per questo essa determina il soggetto dell’inconscio. Infatti, se si può sapere a priori come funzionano le leggi significanti, non si può mai sapere a priori quale siano le conseguenze sul soggetto.

Per questo motivo Lacan arriva a rinunciare al riferimento alla legge per fare “invece riferimento all’ordine della causa” 36 .

Lacan riprende da Hume “la nozione che la causa è fondamentalmente legata a una discontinuità e che, in sé, è impensabile, inconcettualizzabile. […] Hume si rese conto che la causa di per sé non contiene, come conseguenza, il proprio effetto” 37 . Così, mentre nell’ambito della legge tutto passo nell’ordine del significante, nell’ambito della causa non tutto passa nell’ordine del significante. Rimane un bianco.

La legge ha una successione necessaria, la causa introduce invece uno scarto, un intoppo, un mancamento. “Ogni volta che parliamo di causa, c’è sempre qualcosa di anticoncettuale, di indefinito […]. In breve, c’è causa solo di ciò che zoppica” 38 . Nella stessa misura in cui il concetto di legge mette l’accento sulla determinazione, il concetto di causa implica invece l’indeterminazione. “Possiamo dire che il termine di causa per lungo tempo è stato tipicamente un termine lacaniano nell’atmosfera strutturalista in cui era ascoltato” 39 . Infatti dopo essersi servito della linguistica e dello strutturalismo, Lacan deve riconoscere i loro limiti rispetto alla clinica psicoanalitica poiché i due punti essenziali della soggettività umana sarebbero cancellati: il soggetto dell’inconscio e l’oggetto (a).

Il soggetto dell’inconscio e l’oggetto (a)

“Lacan si è posto il problema di sapere se la psicoanalisi poteva essere ridotta alla linguistica. Dopo tutto, è quel che sembra implicare la definizione del campo freudiano come campo del linguaggio. Ebbene, proprio per niente. E credo di poterlo affermare in modo preciso, poiché quello che nella psicoanalisi si aggiunge al campo del linguaggio e alle sue leggi è il fatto di prendere in conto il soggetto” 40 .

Che un significante si articoli con un altro è un dato offerto dalla linguistica. Ma il fatto che Lacan vi faccia entrare il soggetto in quanto supposto per un altro significante, ecco che si contravviene alla proibizione newtoniana sull’ipotesi. Il soggetto è la nostra ipotesi. Infatti “noi lo trattiamo come un’ipotesi quando diciamo che è supposto” 41 . E il soggetto-supposto-sapere è uno dei modi di dire, in positivo, quello che Freud ha chiamato, con un termine negativo, inconscio.

Per questo, introducendo il soggetto come ipotesi, la psicoanalisi non potrà mai essere positivista. Ciò che impedisce alla psicoanalisi di essere positivista è il fatto di includere l’ipotesi del soggetto.

Le leggi del significante, se permettono di conoscere come funziona il desiderio inconscio, ossia come metonimia, non toccano affatto ciò che causa il desiderio.

“La linguistica fornisce il materiale dell’analisi, anzi l’apparato con cui in essa si opera […]. Ma non per questo essa ha la benché minima presa sull’inconscio” 42 .

Il soggetto fa obiezione al determinismo. In più, continua Lacan, la linguistica “lascia in bianco ciò che lì ha effetto. L’oggetto (a) […] 43 ”. Ecco nominato l’oggetto che non è la legge del desiderio, ma l’oggetto causa del desiderio.

Ora, rispetto al desiderio, questo oggetto “sta forse davanti?” 44 . No. Quello che sta davanti, ossia a valle, non è l’oggetto che causa il desiderio. L’oggetto che lo causa è invece “l’oggetto che sta dietro”, quello che sta a monte. L’oggetto causa non è dunque l’oggetto verso cui si dirige il desiderio o la cupiditas, ossia quell’oggetto che occupa fantasmaticamente la scena del desiderio. E anche se si concretizza nella relazione amorosa, quest’oggetto non si accorda mai con lui, il quale resta metonimico.

L’oggetto (a), causa del desiderio, è ciò che del godimento resiste alla significantizzazione: è il residuo del godimento del corpo che sfugge all’operazione del significante. Per questo J.-A. Miller può dire che l’oggetto (a) ha diverse forme che corrispondono alle zone erogene di Freud 45 .

L’oggetto (a), causa del desiderio, rimanda a una dimensione che non è signficante, ma a una dimensione di godimento, esattamente a un resto di godimento. Il desiderio trova così la sua ragion d’essere nella spinta pulsionale particolare di ogni soggetto.

Il paradosso Legge/desiderio

Riprendiamo dal mito di Edipo. “All’origine, il desiderio come desiderio del padre e la legge sono una e medesima cosa. Il rapporto della legge con il desiderio è così stretto che solo la funzione della legge traccia il cammino del desiderio. Il desiderio, in quanto desiderio per la madre, è identico alla funzione della legge” 46 .

La madre è qui a rappresentare l’oggetto del godimento proibito. Per illustrarlo,

nel seminario sull’etica Lacan aveva stupito i suoi ascoltatori citando un passo biblico in modo inatteso.

“’La Legge è forse la Cosa? Questo no. Tuttavia io non ho potuto prendere conoscenza della Cosa se non attraverso la Legge. Non avrei infatti avuto l’idea di bramarla se la Legge non avesse detto: non la bramerai. Ma la Cosa, trovando l’occasione, suscita in me ogni sorta di bramosia grazie al comandamento; infatti senza la Legge la Cosa è morta. Ora, io un tempo ero vivo, senza la Legge. Ma quando è intervenuto il comandamento, la Cosa è divampata, mentre io ho trovato la morte. E il comandamento che doveva darmi la vita è diventato per me causa di morte; la Cosa infatti, trovata l’occasione per mezzo del comandamento, mi ha sedotto e attraverso di esso mi ha fatto desiderio di morte’. Credo che, da qualche minuto, almeno a qualcuno di voi sia venuto il dubbio che non fossi più io a parlare. In effetti, a parte una piccolissima modifica – Cosa al posto di peccato – questo è il discorso di san Paolo sui rapporti tra la legge e il peccato (Epistola ai Romani, 7, 7)” 47 .

San Paolo sottolinea la dipendenza dell’oggetto del desiderio rispetto alla proibizione. In altri termini: io desidero ciò che mi è proibito, e so che cosa è desiderabile proprio perché la legge lo proibisce. Però, se la legge è al principio della proibizione e la proibizione è ciò che condiziona il desiderio, allora il desiderio è subordinato alla legge. Subordinato ma non annullato: se da un lato la legge proibisce il desiderio, tuttavia la legge è il supporto stesso del desiderio: senza legge, non c’è desiderio.

J.-A. Miller sottolinea che qui abbiamo a che fare con un “paradosso” 48 . Da un lato Lacan afferma che il desiderio è fondamentalmente sottomesso alla Legge, ma d’altro canto lo statuto del desiderio “si presenta come autonomo rispetto a questa mediazione della Legge, perché è dal desiderio che essa ha origine […]” 49 .

Il paradosso dipende dal fatto che da un lato il desiderio, essendo correlato con il desiderio dell’Altro, non può non essere sotto la Legge, ma dall’altro canto, il desiderio deve essere correlato con ciò che lo causa, ossia l’oggetto (a), che è dell’ambito del godimento. Per articolare le due affermazioni contraddittorie Lacan arriverà a situare all’interno del linguaggio l’oggetto (a), sebbene non sia significante.

Il punto di snodo è l’assunzione della castrazione, che è imputata all’Altro ma che è all’origine di quella mancanza la quale è, fondamentalmente, l’oggetto (a), in quanto è quel bianco, quell’incavo che viene a essere ricoperto dai resti dell’operazione significante. Questa articolazione Lacan la scrive in questi termini: “[…] è l’assunzione della castrazione a creare la mancanza per cui il desiderio si istituisce. Il desiderio è il desiderio di desiderio, il desiderio dell’Altro, abbiamo detto, cioè sottomesso alla Legge” 50 .

Das Ding come massima universale

“Ciò che troviamo nella legge dell’incesto si situa come tale a livello del rapporto inconscio con das Ding, la Cosa” 51 , che è quello che nella nostra esperienza si tratta di ritrovare, “in quanto Altro assoluto del soggetto” 52 . E Freud ci mostra “che non v’è Sommo Bene – che il Sommo Bene, che è das Ding, che è la madre, l’oggetto dell’incesto, è un bene interdetto, e che non c’è altro bene. Questo è il fondamento, rovesciato in Freud, della legge morale” 53 .

Ecco che Lacan, dopo averla dichiarata “muta” 54 , fa parlare la Cosa. La fa parlare quando ci mostra in che modo das Ding può manifestarsi “come trama significante pura, come massima universale” 55 , che si presenta come una Legge: das Ding comanda, ordina. Esattamente con le stesse caratteristiche dell’imperativo categorico kantiano. “Das Ding si presenta a livello dell’esperienza inconscia come ciò che già fa legge .[Ma] è una legge di capriccio, di arbitrio, persino di oracolo, una legge di segni in cui il soggetto non è garantito da nulla […]” 56 . In altri termini l’esigenza della pulsione si presenta come una legge, con le stesse caratteristiche della legge morale. Da qui Lacan si permette di completare Kant con Sade 57 .

Godimento e struttura

Per quanto riguarda l’interdetto portato sul godimento Lacan arriva a considerare che si tratta di un dato di struttura. A interdire il godimento non è una legge esterna, religiosa o sociale che sia. Per cui “non è la Legge in quanto tale a sbarrare l’accesso del soggetto al godimento: essa si limita a fare di una barriera quasi naturale un soggetto sbarrato. Poiché è il piacere a dare al godimento i suoi limiti […]” 58 . Lacan sostituisce così, alla barriera della legge che proibisce, la barriera del piacere come quel principio che risponde a una necessità quasi naturale di equilibrio, e che riserva il godimento a dei momenti di infrazione. Quando il piacere limita il godimento, abbiamo una regolazione, poiché “il principio di piacere è principio di omeostasi” 59 . Il principio di piacere, infatti, è il principio di quella “tensione minima da mantenere affinché la vita sussista” 60 . Il principio di piacere acquista così un senso nuovo “quando si presta alla forzatura della sua barriera tradizionale da parte di un godimento – il cui essere si etichetta come masochismo, o si apre sulla pulsione di morte” 61 . In questo contesto il masochismo è portato come paradigma dell’estrazione di godimento, quando è quella misteriosa soddisfazione che si sperimenta nel dispiacere.

È Il significante stesso a introdursi come apparecchio di godimento. E se è il godimento che rende necessaria la ripetizione, è tramite il significante che avviene questa ripetizione. “Il valore dell’automatismo di ripetizione indica che per il soggetto il godimento è sempre segnato con il significante. È questo il godimento permesso a chi parla come tale. È quel godimento che fa ostacolo a cogliere il godimento effettivo e di cui Freud ha indicato il destino con l’oggetto perduto” 62 .

Ma non si tratta più della ripetizione come era stata pensata in un primo tempo, laddove Lacan legava la coazione a ripetere all’insistenza della verità. Ora, “ciò che rende necessaria la ripetizione è il godimento [che] è esattamente ciò che va contro la vita” 63 .

Tuttavia ogni volta che c’è ripetizione, c’è perdita. E già Freud, ricorda Lacan, aveva insistito: “nella ripetizione come tale vi è dispersione di godimento” 64 .

Così laddove c’era interdizione, in realtà si ritrova “una perdita, diciamo così, automatica. Il godimento non si mantiene se non in perdita. È questa perdita che viene imputata al padre. La verità del padre è la perdita. E l’imputazione che gli viene fatta di essere l’agente della castrazione non è altro che la razionalizzazione di un fenomeno di entropia” 65 .

Il “teatrino freudiano”, quello in cui Freud mette in scena la perdita di godimento tramite il mito dell’Edipo e quello del padre della orda, viene da Lacan sostituito con altri riferimenti: “l’energetica. La termodinamica, l’entropia. Lacan dice che la perdita di godimento è come l’entropia, qualcosa circola e c’è una quantità che si mette a diminuire” 66 .

“Ed è al posto di questa perdita introdotta dalla ripetizione che vediamo sorgere la funzione dell’oggetto perduto, di ciò che chiamo (a)” 67 .

Ora, “tutto ciò che Lacan sviluppa sulla ripetizione entropica si introduce a partire da ciò che resta implicito, vale a dire il trauma del godimento. Un trauma che fa sì che ciò che si ripete non può essere se non in perdita rispetto al dato iniziale, di sorte che l’in-troppo dell’entropia si rivela essere un in-meno” 68 .

Nella ripetizione c’è, al contempo, ritorno e perdita. Questo però suppone di mettere in valore per ogni soggetto un godimento iniziale che fa infrazione e che si fissa, in altri termini che è quel marchio di godimento che fa trauma. Ciò che appare è la ripetizione. Ma è il trauma del godimento a introdurre la ripetizione.

Il corpo e il linguaggio

Così quello che nelle diverse culture viene chiamato proibizione del godimento fallico, il divieto che concerne il godimento incestuoso della madre, infine l’uccisione del padre della orda che possiede tutte le donne, non sono altro che delle maschere che velano la perdita di godimento che viene provocato dalla presa del linguaggio sul corpo. Già in “Sovversione del soggetto” Lacan aveva detto: “Ciò a cui bisogna attenersi è il fatto che il godimento è proibito a chi parla come tale […]” 69 .

Ma ora, a questo punto, viene messo in luce che, da un lato, il significante produce godimento ma, d’altro lato, cancella un godimento supposto originario, di cui tuttavia l’umano non ne sa niente.

E che succede quando il godimento è perduto tramite il linguaggio? In questo disastro del godimento la libido emigra e si annida nel corpo in quelle che Freud aveva chiamato zone erogene, creando l’oggetto (a).

Il fallo, quell’elemento che circola in tutta la teoria analitica, non è affatto l’emblema della potenza, ma è piuttosto l’emblema della perdita di godimento, che è tradotta nella soggettività umana come un divieto di cui si rende imputabile il padre. Quando il padre stesso non è altro che una versione di questo ‘meno’ che colpisce il godimento.

Se il godimento in quanto tale è segnato da un ‘meno’, a partire dalle zone erogene, dove la pulsione è andata ad emigrare, è possibile ottenere un ‘più’, un plusgodere. E questo plusgodere si estende, a partire dagli oggetti articolati con le zone erogene, agli oggetti della sublimazione, dell’arte, della scienza, della cultura, addirittura a quella profusione di oggetti prodotti dalla tecnica e dalla scienza.

Quel che conta è il soddisfacimento che la pulsione ottiene con la sua traiettoria, che non dipende dall’interdetto. Nella problematica precedente il desiderio è creato dall’interdetto, è di origine edipica, e il godimento ne dipende perché attiene alla trasgressione dell’interdetto.

Lacan arriverà a pensare il godimento al di là di questo schema. Penserà il godimento al di là dell’interdizione. Il godimento è allora un godimento positivizzato, il godimento di un corpo che si gode. È un evento di corpo.

Il godimento non è più articolato alla legge del desiderio, ma è dell’ordine del trauma, dello choc, della contingenza, del puro caso. Tutto ciò si oppone termine a termine alla legge del desiderio. Il godimento non è preso in una dialettica, ma è l’oggetto di una fissazione. E proprio per il fatto di essere andato al di là dell’interdizione, Lacan ha potuto cogliere il godimento femminile, che è “quella parte di godimento che sussiste senza subire l’interdizione” 70 . Godimento che in realtà non riguarda solo le donne, ma l’umano in quanto tale, poiché si tratta dello statuto fondamentale del corpo. Non si tratta del corpo che gode, ma del corpo che si gode: ossia del corpo preso al livello dell’esistenza.

Il reale è senza legge

Per Freud il reale includeva la legge, almeno perché la sua modalità di intendere il reale includeva il senso. Per questo il reale freudiano è “un reale scientista” 71 . Per Lacan, invece, “il vero reale implica l’assenza di legge” 72 . Il reale che implica la legge è il reale newtoniano della natura, quella che sa che cosa deve fare. Tanto che si può dire che c’è un sapere nel reale della natura.

Nell’insegnamento di Lacan in un primo tempo il reale è concepito come composto da elementi, adatti a diventare significanti. Quindi il reale, per il fatto di essere significantizzato, è preso nel sapere che si presenta sotto forma di leggi. “La trasformazione del reale in significante non può fare dimenticare che il significante ha le sue leggi proprie che si impongono al reale significantizzato” 73 . È così che Lacan affronta l’ Es freudiano. All’epoca Lacan pensava che l’ Es fosse ancora del sapere nel reale, quindi significante, sebbene “significante incompreso” 74 .

L’ultimo insegnamento di Lacan consiste, al contrario, nel circoscrivere il puro reale senza legge, quello che “esclude il senso o, più precisamente, si deposita essendone escluso” 75 . Di conseguenza, rispetto al puro reale senza legge, si mette in questione non solo ciò che fa senso ma anche ciò che fa sapere.

Il simbolico si presenta sempre con la legge, con le regole che comandano i suoi concatenamenti, il puro reale è invece la congiunzione del significante con il godimento. Ma il significante da solo, quello che non si articola ancora in catena significante. In altri termini, quando il significante da solo incontra il corpo umano, avviene un trauma, e c’è uno choc tra il significante e il godimento. Ecco perché Lacan definisce il reale in questi termini: “Il reale, dirò, è il mistero del corpo parlante, è il mistero dell’inconscio” 76 .

Ci sono dunque due sostanze, il significante e il godimento. Il reale è la congiunzione dei due. Ma la connesssione tra i due non è articolata, non risponde a una regola o a una legge. Si tratta di un incontro contingente.

Per questo, “il reale di Lacan è un negativo del vero, in quanto non è legato a niente, è staccato da tutto e da qualsiasi cosa, non ha legge, non obbedisce ad alcun sistema e condensa il puro fatto del trauma” 77 .

Tuttavia, che il puro reale sia senza legge, ossia che non c’è modo di farne matema, non vuol dire che sia senza causa. “Il reale ha una causa che consiste nella congiunzione dell’Uno (del significante) con il godimento” 78 .

È questo che si racconta in analisi: si racconta l’incontro tra il significante e il godimento. Incontro, ogni volta, contingente. Per questo il reale è senza legge.

Il reale è senza legge, ma non senza causa.

Pubblicato in A. Andronico (a cura di), La Legge di Lacan. Psicoanalisi e Teoria del Diritto, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI), 2017, PP. 41-55.

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