Il lavoro delle generazioni
A mo’ di premessa
Lacan ricorda con stupore il nonno che, quando era arrabbiato, sacramentava a più non posso. La bestemmia è un ossimoro: offende l’Altro al cuore, ma lo riconosce come reale.
Questo riferimento alla bestemmia è utile per situare il modo in cui Lacan fa propria un’espressione per indicare il significante paterno: il Nome-del-Padre. Si tratta di un’espressione che Lacan riprende dalla “religione”, 1 ma al lettore non può sfuggire che la bestemmia più corrente in Francia consiste proprio nel nominare il nome di Dio.
Prendiamo ora in considerazione il modo in cui si trasmette il desiderio nell’ambito della famiglia, in altri termini, gli effetti della significantizzazione della castrazione nella trasmissione tra le generazioni.
La famiglia coniugale
Partiamo da quella cellula fondamentale nella definizione che Lacan riprende da Durkheim: “la famiglia coniugale”. 2
“La famiglia si presenta anzitutto come un gruppo naturale di individui uniti da una doppia relazione biologica: la generazione, che dà origine ai componenti del gruppo; le condizioni ambientali, che consentono lo sviluppo dei giovani e preservano il gruppo fintantoché gli adulti generatori ne assicurano la funzione”. 3
Come sarà sua costante modalità Lacan affronta le problematiche umane utilizzando un punto esterno che gli permette una panoramica che comprenda anche quegli aspetti che sfuggono alla presa di un sapere conosciuto e che Freud considera relativi all’inconscio.
Ora se nella famiglia umana si osservano nei genitori alcuni tratti di comportamento istintivo che sono tipici del primo nucleo biologico, presente anche in certi animali, si noterà che la funzione materna e soprattutto la funzione paterna si situano in una prospettiva che li trascende. Tali funzioni non sono frutto della biologia, e fa capire come “il senso della paternità sia debitore ai postulati spirituali che hanno marcato il suo sviluppo per capire che, in questo ambito, le istanze culturali dominano le istanze naturali e in maniera da non poter ritenere paradossali i casi in cui, come nell’adozione, si sostituiscono a esse”. 4
Fra tutti i gruppi umani, la famiglia gioca un ruolo primordiale nella trasmissione della cultura.
Se altri gruppi umani si occupano della continuità delle tradizioni, del mantenimento dei costumi, della salvaguardia delle tecniche e del patrimonio, la famiglia si occupa essenzialmente della prima educazione, della regolazione delle pulsioni, dell’acquisizione della lingua. In tal modo la famiglia presiede ai processi fondamentali dello sviluppo psichico e trasmette le modalità di comportamento.
“In questa maniera la famiglia stabilisce una continuità psichica tra le generazioni, la cui causalità è di ordine mentale. Tale continuità, pur rivelando l’artificio dei suoi fondamenti negli stessi concetti che definiscono l’unità della stirpe, dal totem fino al patronimico, si manifesta nondimeno con la trasmissione alla discendenza di disposizioni psichiche che confinano con l’innato”. 5 A questo punto possiamo parlare di eredità sociale, la quale, sebbene sia un’espressione ambigua, è sufficiente perché quello che si tramanda come eredità psicologica prenda il sopravvento sull’importanza del biologico.
Questa eredità, che potremmo chiamare psico-sociale, viene tramandata in quelli che la psicoanalisi chiama complessi. Il complesso, “dominato da fattori culturali”, 6 è il fattore concreto in opera nella psicologia familiare e ha il ruolo di organizzare lo sviluppo psichico per meglio integrarlo nella personalità. Ora il complesso interviene anche per quanto riguarda quei fattori che chiamiamo inconsci. Ed è in questo contesto che Lacan, sulla scia di Freud, prende in considerazione il complesso di Edipo.
Il complesso di Edipo
Il complesso di Edipo, che “definisce le relazioni psichiche della famiglia umana”, 7 non deve essere considerato unicamente sul versante diacronico, ossia sul versante che prende in considerazione l’evoluzione, lo sviluppo e la maturazione dell’individuo, ossia sul versante della psicologia evolutiva, ma deve anche, se non soprattutto, essere considerato sul versante sincronico, ossia sul versante della struttura. Da questo punto di vista anche le fasi evolutive del piccolo uomo trovano senso solo a partire dall’Edipo. Questo comporta che per Lacan l’Edipo e il campo del simbolico coincidono. L’Edipo non si esaurisce dunque nella funzione di presiedere il processo evolutivo del bambino, poiché l’Edipo e il soggetto, inteso come soggetto dell’inconscio, sono strutturalmente concomitanti.
In questo contesto l’Edipo è il principio normativo fondamentale e universale, la legge primordiale che sovrappone il regno della cultura al regno della natura. Legge che acquista nella proibizione dell’incesto valore particolare di cardine per ogni soggetto. Per cui la legge universale, ossia quella che è stata rappresentata da Freud nella proibizione dell’incesto, deve essere soggettivata da ogni singolo vivente umano che viene al mondo.
Concretamente, che modo l’Edipo diventa operativo? In altre parole, in che modo il bambino fa sua quella limitazione del godimento che si riassume nella proibizione dell’incesto e, preso nel simbolico, arriva a incorporare quello che gli viene trasmesso dalle generazioni che lo precedono?
In primo luogo Lacan legge l’Edipo attraverso quella triade che sostiene da un capo all’altro tutto il suo insegnamento mostrando che le figure parentali hanno funzioni e ruoli diversi a seconda se sono nel registro dell’Immaginario, nell’ordine del Simbolico o se sono manifestazioni del Reale. Ricorre poi a quegli strumenti offerti dalla linguistica facendo appello alla coppia significante/significato di Saussure e alla coppia metafora/metonimia di Jakobson.
In breve, la madre e il padre, da semplici persone della realtà quotidiana, sono elevati alla dignità simbolica di significanti, a cui corrisponde il loro relativo significato. Inoltre quando al significante materno viene a sostituirsi il significante paterno, si realizza la metafora paterna, che è la definizione lacaniana del complesso di Edipo.
La metafora paterna
C’è il bambino e c’è la madre che lo ha generato. Questo rapporto si struttura con la presenza, l’assenza ovvero l’alternanza di presenza/assenza della madre, cosicché il bambino vede cambiare il mondo se la madre c’è oppure se non c’è. Ma perché questo andirivieni della madre mette in subbuglio il piccolo? Perché intuisce che c’è qualcosa che la agita e che non è lui. “Vorrei tanto essere io quello che lei vuole, ma è chiaro che lei non vuole solo me”. 8 La madre ama il bambino ma il suo desiderio è anche altrove: il suo piccolo non satura il suo desiderio. La clinica psicoanalitica ha dato un nome a questo oggetto del desiderio della madre: il fallo. E il bambino, con più o meno fortuna, tenta di occupare questo posto. Le diverse soluzioni, o “scelte” inconsce, per utilizzare un termine caro a Freud, hanno delle conseguenze psicopatologiche profonde per il bambino.
“Che cosa succede nella situazione edipica normale? È tramite una certa rivalità del soggetto con il padre, contrassegnata da identificazione in un’alternanza di relazioni, che fa sì che il soggetto si vedrà conferire la potenza fallica entro certi limiti, e precisamente quelli che lo introducono alla relazione simbolica. Il che avviene diversamente a seconda della posizione femminile o maschile”. 9
È dunque a questo punto che interviene il padre.
In un primo tempo esiste, per il bambino, il solo rapporto con la madre o, secondo i termini di Lacan, con il Desiderio della Madre, significante il cui unico significato rimane enigmatico, rimane una significazione sconosciuta al bambino, rimane una x:
DM
x
In un secondo tempo, il Nome-del-Padre si sostituisce al Desiderio della Madre,
NP
DM
Tramite questa sostituzione – che Lacan chiama metafora paterna – il bambino reperisce il valore di questa x. Infatti “l’effetto del Nome-del-Padre è quello di dare la chiave di questa significazione sconosciuta e di darla come significazione fallica”. 10 Cosa che gli aprirà la strada a una regolarizzazione del proprio desiderio e quindi a una assunzione regolata del godimento fallico.
L’incorporazione della significazione fallica comporta un versante positivo poiché regola le pulsioni, ma comporta anche l’accettazione di una perdita del godimento in eccesso, rappresentato nel godimento incestuoso. È in questo contesto che si parla di castrazione. L’accettazione della castrazione vuol dire la ratifica della rinuncia a quel godimento in eccesso, e l’accesso a un desiderio soggettivato. Lacan lo dice in questi termini: “La castrazione vuol dire che bisogna che il godimento sia rifiutato perché possa essere raggiunto sulla scala rovesciata della Legge del desiderio”. 11
Il risultato dell’operazione è dato dalla formula della metafora paterna: 12
Formula
È qui che il padre e la madre, presi nel simbolico, sono elevati alla dignità di significanti. Essi si trovano così proiettati al di là delle loro pur eventuali reali carenze e si trovano investiti delle funzioni che conferisce loro il simbolico: quella relativa alla funzione materna che dà al bambino un posto nella realtà e quella relativa alla funzione paterna che gli dà un posto nel simbolico.
Il Nome-del-Padre è dunque quel significante che trasmette il simbolico, non si riduce alla concreta esistenza di un padre e, in quanto funzione paterna, intervenendo sul Desiderio della Madre, permette che il bambino sveli quale sia l’oggetto del desiderio della madre, appropriandosi della significazione fallica, e sappia posizionarsi rispetto al desiderio dei genitori.
La forclusione del Nome-del-Padre
In certi casi però il significante Nome-del-Padre non è operativo e non si sostituisce al significante Desiderio della Madre. E in questo caso il bambino non ha accesso alla significazione fallica.
Questa mancanza operativa del significante Nome-del-Padre è ritenuta da Lacan il meccanismo causale della psicosi. Si tratta di quello che Lacan chiama forclusion du Nom-du-Père, espressione che traduce il termine freudiano di Verwerfung. Il non funzionamento del significante paterno ha come conseguenza “un disordine provocato nella più intima giuntura del sentimento della vita del soggetto”. 13
Il termine a cui Lacan fa ricorso, forclusione, vuol dire che la funzione paterna è preclusa, ossia non ha funzionato quando doveva funzionare. Già questa notazione sottolinea il fatto che il Nome-del-Padre, istanza strutturale, universale, è un elemento, sia pure simbolico, che si iscrive nella temporalità diacronica che presiede allo sviluppo del soggetto.
Questo vuol dire che il significante Nome-del-Padre non è affatto sovrapponibile con il simbolico in quanto tale, dato che si tratta di un significante particolare, sebbene gli dia accesso alla significazione fallica e iscriva il soggetto umano nella castrazione. Lacan lo dice in questi termini: “Nel punto in cui […] è chiamato il Nome-del-Padre, può dunque rispondere nell’Altro [da intendersi nel simbolico in quanto tale] un puro e semplice buco, che per carenza dell’effetto metaforico provocherà un buco corrispondente al posto della significazione fallica” 14 nel soggetto. Nel caso specifico Lacan si riferisce alla situazione del presidente Schreber.
Da qui risulta che la forclusione del Nome-del-Padre potrebbe avere origine sia nell’incapacità di un padre a potersi rivestire della funzione paterna e poter così funzionare come significante che si sostituisce al significante Desiderio della Madre. Oppure nel fatto che sia la madre reale a non aver potuto elevarsi al suo ruolo significante, rendendo così impossibile che il significante Desiderio della Madre venga sostituito dal significante Nome-del-Padre, rendendo così inoperante la metafora paterna, ossia l’Edipo.
La funzione della terza generazione
Ora, poiché nel caso dell’Edipo normale la madre ha già lo statuto di significante indicato nell’espressione Desiderio della Madre, vuol dire che per lei, quando era infante, la metafora paterna aveva funzionato.
“L’Edipo freudiano, così come appare nelle coordinate lacaniane della metafora paterna, è completamente volto all’effettuazione della significazione del fallo e permette di rendere conto della castrazione simbolica, da intendersi come simbolizzazione della castrazione. Ma questo suppone una castrazione preliminare già costituita”. 15
Cosa resa evidente dal fatto che la madre è già presa nel simbolico, infatti come Desiderio della Madre la figura materna è elevata alla dignità di significante. La madre è già sotto la legge del simbolico e quindi sottomessa alla castrazione.
In questo modo è in ballo la generazione precedente.
Lacan considera che non occorre andare molto in là per rendere conto delle scelte nevrotiche, perverse o psicotiche del soggetto dell’inconscio in un bambino. Parlando delle psicosi infantili Lacan dice che per affrontare le questioni attinenti al bambino, alla psicosi e all’istituzione, compresa quella familiare, occorre tener presente che “per quel che riguarda il bambino, il bambino psicotico, tutto questo sfocia in leggi di ordine dialettico che sono in qualche modo riassunte nella pertinente osservazione del dottor Cooper, secondo cui, per ottenere un bambino psicotico, occorre l’operato di almeno due generazioni, di cui egli è il frutto alla terza generazione”. 16
Precisa la posizione di Lacan un brevissimo testo, in cui egli ribadisce che il soggetto umano si costituisce tramite un desiderio “che non sia anonimo”, 17 e che è il prodotto di una trasmissione di un ordine diverso rispetto alla trasmissione della vita basata sulla soddisfazione dei bisogni.
“È sulla base di tale necessità che si giudicano le funzioni della madre e del padre. Della madre in quanto le sue cure portano il marchio di un interesse particolareggiato, se non altro per via delle mancanze a lei proprie. Del padre in quanto il suo nome è il vettore di un’incarnazione della Legge nel desiderio”. 18
Rispetto alla coppia genitoriale, il bambino potrà occupare la posizione di essere un sintomo che mette a nudo la verità della famiglia. E Lacan afferma che si tratta di una situazione che lascia molto spazio all’azione terapeutica. Spazio che si restringe quando il bambino occupa una posizione direttamente correlata con il solo fantasma materno. Questa presa fantasmatica sul bambino sarà tanto più vincolante – e l’azione terapeutica sarà di conseguenza tanto più difficile - nella misura in cui la funzione paterna si rivela essere più o meno all’altezza della funzione di mediatore tra il bambino e la madre.
Il bambino, “sostituendosi a quest’oggetto [ossia all’oggetto del fantasma materno] satura la forma di mancanza in cui si specifica il desiderio (della madre), qualunque sia la struttura particolare: nevrotica, perversa o psicotica”. 19
Ancora una volta Lacan collega la “scelta” del bambino rispetto alla struttura (ossia alla nevrosi, alla perversione e alla psicosi) con la soluzione che assumerà la madre, il cui desiderio è, a sua volta, la conseguenza della soluzione più o meno riuscita rispetto ai propri genitori, ossia ai nonni del bambino.
Occorre tuttavia indicare che l’effetto, ossia la “scelta” soggettiva, non risponde in modo deterministico a una legge, come sarebbe se si trattasse di una legge della natura. Ed è proprio per questo motivo che Lacan fa “invece riferimento all’ordine della causa”, 20 che permette l’inclusione di qualcosa di indefinito. In altri termini, qualcosa che includa la dimensione della soggettività, evitando così che si tratti del risultato di un puro determinismo.
In altri termini, la soluzione del complesso edipico della madre del bambino, come anche la soluzione del complesso edipico del padre, sono, tramite i genitori, direttamente in gioco nella costituzione soggettiva del bambino, e quindi intervengono nelle sue scelte inconsce, che prendono la forma di “nevrosi, perversione o psicosi”. 21
In altre parole qui è in gioco la modalità in cui colui che sarà il padre del bambino e colei che ne sarà la madre sono stati a loro volta investiti dal significante Nome-del-Padre e dal significante Desiderio della Madre dai loro propri genitori.
Questo rapporto tra i personaggi che si ritrovano nelle tre generazioni, Lacan non solo la manterrà fino alla fine del suo insegnamento, ma anzi la farà presente sia pur con pennellate discrete.
Prendiamo, a mo’ di esempio, quei passi in cui Lacan parla di James Joyce e del rapporto con il proprio padre e con la figlia Lucia. Tentando di difendere la figlia, che “è una persona che solitamente viene chiamata schizofrenica”, 22 Joyce le attribuisce il suo proprio sintomo sostenendo che è telepatica. Ora, per Joyce, questo sintomo “procede dal fatto che suo padre era carente, carente in modo radicale”. 23 Cosa per cui James Joyce cerca continuamente un padre, come fa “in tutto l’Ulisse sotto diverse spoglie senza trovarne traccia”. 24 Lacan tuttavia preciserà che a tale carenza Joyce troverà la sua personale soluzione in quanto artista: “è proprio volendosi dare un nome che Joyce ha compensato la carenza paterna”, 25 senza tuttavia che questo abbia avuto un qualche effetto sulla follia della figlia.
Il nonno e la nonna
La pratica clinica della psicoanalisi prova costantemente che alla carenza genitoriale, molte volte sono altri componenti della società, soprattutto della famiglia a prendere il relé, e i nonni in modo particolare.
I nonni sono infatti generalmente presenti come quei significanti che collegano i piccoli nipoti alla vita. Collegamenti da cui non sono presenti solo gli aspetti pacificanti che facilmente si attribuiscono loro, ma anche degli aspetti inquietanti, come raccontano le fiabe. Le infinite varianti della fiaba europea chiamata in italiano Cappuccetto rosso mettono in presenza una nonna, buona e amorevole, con il valore di ideale dell’io, e il lupo, con il valore di rappresentare un superio vorace e ingannatore, rappresentando così le due facce di una stessa medaglia.
Rispetto ai nonni, nel dire degli analizzanti sovente riscontriamo tre aspetti.
Un primo è il fatto che i nonni occupano nel racconto del paziente un posto prevalente nella costituzione soggettiva quando l’analizzante era infante, soprattutto nel caso in cui si riscontrano difficoltà di comunicazione con i genitori, in primo luogo con la propria madre. Il nonno e la nonna si fanno così portatori di significanti idealizzanti che sono generalmente sufficientemente scevri da aspetti superegoici.
I nonni vengono così a rappresentare un singolare accordo tra un desiderio ancora vivo e la realizzazione possibile del godimento permesso, esattamente perché funzionano generalmente come dei rappresentanti dell’Ideale dell’io, ma con un superio attenuato e sottotono.
La mancanza di queste presenze, quando le funzioni genitoriali sono carenti o del tutto mancanti, lascia il bambino o la bambina in preda a grandi difficoltà per reperirsi come soggetto desiderante. La parola della nonna e del nonno sono sovente l’ultimo baluardo contro la tristezza e la depressione. La loro parola funziona come un punto fermo che riconosce il bambino come soggetto. Il valore della parola rimane valido non solo quando la parola è positiva, ma anche quando si tratta di una parola infelice e distruttiva. Un incontro felice con la parola di una nonna o di un nonno è un marchio indelebile. Ma è indelebile anche quando ha luogo un incontro con una parola ostile. Oppure con un silenzio privo di ogni forma di riconoscimento.
La riduzione moderna della famiglia alla sua cellula fondamentale limita di molto le possibilità, positive o negative, insite in questi incontri. E questo lascia il soggetto in balìa a una più grande desolazione.
Un secondo punto consiste nel fatto che molto raramente i nonni vengono considerati in coppia nelle libere associazioni. Diversamente dai genitori, generalmente i nonni vengono nel racconto presi individualmente, senza quasi nessun riferimento al fatto che con il proprio coniuge, essi costituivano una coppia.
I nonni infatti non entrano solitamente nelle associazioni libere come elementi che verrebbero a rappresentare la realizzazione del fantasma che ci sarebbe rapporto sessuale. Non sono insomma in quanto rappresentanti del rapporto maschio/femmina che il nonno o la nonna entrano in gioco per il bambino, ma in quanto portatori di significanti con cui identificarsi.
Un terzo punto consiste nel fatto che se i nonni sono presi uno per uno, sono però a volte messi in coppia con il proprio figlio o figlia che è, a sua volta, uno dei genitori del bambino. In questo caso il bambino svela o fantastica una relazione del proprio genitore con la persona della generazione precedente, come se in questo caso il rapporto sessuale fosse così reso possibile.
Un esempio freudiano letto da Lacan
Per terminare prenderò come esempio qualche elemento del caso del piccolo Hans.
Tutti conoscono il piccolo Hans di Freud. Ma non tutti conoscono la lettura che Lacan fa del testo freudiano. Lascio al lettore la minuziosa disamina dell’osservazione che egli presenta nel seminario sulla relazione oggettuale, per puntualizzarne solo un aspetto relativo alla nonna.
Nonostante la singolare presenza di Freud, che, come padre simbolico, funziona come “uno degli elementi essenziali dell’instaurazione dell’equilibrio per il piccolo Hans”, 26 il padre della realtà rimane carente, come testimonia il fatto che l’oggetto fobico, ossia il cavallo, gioca a lungo in sostituzione del significante paterno. Ruolo che “non è coperto dal personaggio del padre”. 27
Freud si accorge, almeno in parte, del valore delle sostituzioni, delle permutazioni e delle trasformazioni in opera nel caso del piccolo Hans. Si accorge, per esempio, della sostituzione fatta dal bambino tra il padre e il cavallo, e quindi che il cavallo funziona come significante al posto del padre, ma non si accorge a sufficienza del ruolo che ricopre la nonna, la nonna di Lainz, come la chiama il piccolo Hans.
Ogni domenica il piccolo Hans va con il padre a trovare la nonna. Eppure nel testo di Freud, “nel corso di tutta l’osservazione di lei non si fa parola, cosa che dà molto da pensare circa il carattere temibile di questa signora”. 28
E proprio lei, e non già il padre del bambino, a rivelarsi essere quella necessaria terza persona nel rapporto tra il bambino e madre. Il padre, colui che avrebbe dovuto impedire al bambino di fare quello che vuole con la madre, per esempio che non si metta nel suo letto e che non assista alla sua toilette, non adempie alla sua funzione, nonostante il piccolo Hans ce la metta tutta per indicare al padre la strada da seguire. Così il piccolo Hans quel “terzo che non ha trovato nel padre, lo trova nella nonna, di cui ha fin troppo ben visto il valore decisivo, se non schiacciante, nelle relazioni oggettuali”. 29
Ma né Freud né il padre di Hans incidono a sufficienza sulla maturazione sessuale e sulle costruzioni fantasmatiche del bambino. Il 30 aprile infatti scrive Freud: “Tutto finisce bene. Il piccolo Edipo ha trovato una soluzione più felice di quella prescritta dal destino. Invece di togliere il padre di mezzo, gli accorda la stessa felicità che ambisce per sé: lo nomina nonno e fa sposare anche a lui la sua madre”. 30 Con questa fantasia di far sposare il padre con la propria madre, ci dice Freud, finisce la malattia e l’analisi.
Lacan è severo con Freud. Considera che nonostante “tutte le apparenze di un eterosessuale normale”, 31 la doppia carenza del padre, carente come padre e come analista, farà sì che il piccolo Hans non troverà nel padre quei riferimenti che gli avrebbero permesso un’identificazione virile. Il bambino rimarrà in una posizione femminile.
Il bambino troverà comunque l’uscita dell’Edipo, ma “tramite l’identificazione con l’ideale materno” 32 e rimarrà fissato “in una certa posizione passivizzata”. 33 Posizione che Herbert Graf manterrà tutta la vita a livello dell’amore, ma anche a livello del suo lavoro di produttore teatrale, com’egli stesso affermò in una sua intervista.
Lacan sottolinea questa posizione del bambino fissata suo malgrado sul femminile, fino al punto di dire che “il piccolo Hans non è figlia [sic] di una madre, ma figlia di due madri”, 34 dove il ruolo della seconda madre è sostenuto dalla madre del padre.
La nonna di Lainz ha lo stesso ruolo della sant’Anna che ritroviamo nel quadro preso in considerazione da Freud nel “Ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci”. Quadro che rappresenta il Bambino, la Vergine e sant’Anna, chiamata Metterza, appunto perché vi figura come terza.
Lacan nota che anche per Leonardo “questa scena trina che abbiamo ritrovato alla fine dell’osservazione del piccolo Hans” 35 rende conto della sua inversione sessuale, ma anche della grande abilità delle sue creazioni.
Articolo per la dott.ssa Gemma Trapanese, psicanalista della SPI
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