Giacomo Leopardi

Di Di Ciaccia, 2024
Ca. 7 min. de lettura

Tutto è follia in questo mondo fuorché il folleggiare.
Tutto è degno di riso fuorché il ridere di tutto.
Tutto è vanità fuorché le belle illusioni e le dilettevoli frivolezze.

Così scrive Leopardi nello Zibaldone 1 .

Il poeta nasce nel 1798. Napoleone aveva occupato parte dell’Italia. Leopardi muore nel 1837 quando L’Europa è in piena Restaurazione.

Il padre era un piccolo nobile dello Stato della Chiesa. Come la moglie, era un cattolico tradizionalista. Si augurava che il figlio diventasse vescovo. Grande fu il suo disappunto quando scoprì che alcuni suoi testi in prosa erano stati messi all’Indice dalla Chiesa.

Nel palazzo nobiliare, il conte Monaldo Leopardi aveva costituito un’imponente biblioteca con tutto lo scibile degli Antichi, pagani e cristiani. Lo aveva fatto per vanagloria. Il figlio se ne servì a dovere, sebbene il padre gli avesse messo alle costole dei preti educatori.

Giacomo era un bambino di bell’aspetto. Rapidamente, a causa, com’egli scrive, di “uno studio matto e disperatissimo” 2 , la crescita si arrestò, divenne deforme, gobbo e con gravi problemi agli occhi. Divenne un mostriciattolo, ma non a causa dello studio, quanto piuttosto del morbo di Pott, la tubercolosi ossea, malattia all’epoca sconosciuta.

Ancora bambino, oltre ad apprendere alcune lingue moderne, apprese il latino, il greco e l’ebraico, si iniziò alla filologia ed ebbe il gusto della traduzione. Tradusse, tra gli altri, testi di Omero, Orazio, Virgilio e “La vita di Plotino” scritta da Porfirio.

La sua conoscenza del mondo moderno rimaneva per contro limitata: Chateaubriand, Rousseau, Voltaire, d’Holbach.

Il padre gli impedì di uscire dalla città natìa, Recanati. Per lungo tempo il suo rapporto con il mondo dei letterati fu solo epistolare. Venne così a conoscenza delle opere di Goethe, di Madame de Staël, del Parini e dell’Alfieri, i padri dell’Illuminismo e del Risorgimento italiani.

A 21 anni, in quel buco della sua città natale, produsse poesie che sono veri capolavori, come “L’infinito” e “Alla luna” 3 .

Riuscì infine a partire da Recanati. Visitò Firenze, Roma, Bologna, Milano. Morì a Napoli a 39 anni dopo aver scritto una poesia dal titolo eloquente: “La Ginestra o il fiore del deserto” 4 .

A 17 anni Leopardi inizia un epistolario con Pietro Giordani. Gliera stato detto che costui era il primo scrittore d’Italia 5 . A questo interlocutore lontano, Leopardi invia lettere appassionate, di un amore strano ed eccessivo, dove l’infatuazione per l’interlocutore si mescola con l’amore per il sapere. Dopo che Giordani venne a trovarlo a Recanati, l’amore andò gradatamente scemando. Come Fliess per Freud, Giordani non era all’altezza 6 .

Sempre a 17 anni, Leopardi inizia a scrivere giorno dopo giorno pensieri, appunti, ricordi, osservazioni, note, riflessioni, questioni filologiche, tutto di fila, senza un ordine, in una specie di associazione libera scritta. Egli chiamava questo ammasso di fogli “Pensieri”. Solo al foglio 4.295 (e non è l’ultimo!) lo chiamerà “Zibaldone di pensieri”. Sarà pubblicato circa sessant’anni dopo la sua morte, l’anno della Traumdeutung.

Contemporaneamente al rapporto epistolare con Giordani e alla scrittura dello Zibaldone, Leopardi vide strutturarsi la sua vita con tre conversioni 7 .

La prima è la “conversione letteraria”. Egli passa dagli studi eruditi agli studi letterari, dalla retorica alla poetica.

La seconda conversione è “politica”. Giacomo prende distanza dalle tesi reazionarie del padre e opta per l’unificazione dell’Italia. Che avverrà solo una quarantina d’anni dopo la morte del poeta.

La terza è la “conversione filosofica”, e segna il passaggio dal bello al vero: si tratta della scoperta del “solido nulla” 8 che la ragione consegna all’uomo, cosa che annulla la felicità in quanto tale.

C’è una quarta conversione che aggiungo io e di cui Leopardi non parla apertamente: dal cristianesimo all’ateismo.

Nonostante un riferimento costante, e piccante, al cristianesimo, il termine Natura diventa centrale. “La Natura è lo stesso che Dio”, scrive nello Zibaldone 9 . È il Deus sive Natura. Ma in Leopardi il concetto di Natura è ballerino: va dalla Natura alla Rousseau, alla Natura alla Schopenhauer (di cui non aveva mai sentito parlare), per più o meno attestarsi alla Natura secondo il “Manuale di Epitteto”, da lui tradotto in italiano 10 .

Per Leopardi la filosofia non è il filosofeggiare alla tedesca (cosa di cui ha orrore), ma, come per gli Stoici, si tratta di filosofia pratica. In questo contesto la Natura non si occupa affatto dell’uomo, né delle sue gioie né dei suoi dolori. In questo modo però Leopardi fa l’economia dell’incontro con quel grande Altro che dà e che chiede, riuscendo tuttavia a mettere a tacere il desiderio della madre, la quale lo voleva o baciapile o morto 11 .

Comunque sia, il dolore è la legge della realtà. Eppure la sofferenza comporta un certo piacere. È “il piacere del dolore” 12 . E anche se il piacere durasse tutta la vita, l’animo non sarebbe pago, poiché il suo “desiderio è infinito” 13 . Il doloreè la via più dritta al piacere, o a un’ombra di felicità, così come lo è anche nell’amore. Leopardi ne conclude che Aristotele si era sbagliato con il suo principio di non contraddizione, come deve concludere in un dialogo delle Operette Morali 14 .

L’amore per Giordani non aveva impedito affatto che Leopardi si innamorasse regolarmente di giovani donne, preferibilmente sposate, sebbene con esiti deludenti, e alle quali dedicava poesie sublimi. Sublime è anche “Alla sua donna”, poesia che rivolge, com’egli scrive, a “la donna che non si trova” 15 , alla donna che non c’è, che indica come “l’Una” (“l” - apostrofo - “Una”).

Alla sua morte, Leopardi era praticamente sconosciuto, almeno all’estero. Solo pochi letterati conoscevano i Canti e dei testi in prosa chiamati Operette Morali 16 .

7 anni dopo la morte, il critico francese Sainte-Beuve 17 , lo definisce un poeta fuori tempo e fuori classe, l’ultimo degli Antichi, un Petrarca ateo.

Quando Leopardi era morto da quasi vent’anni, il critico italiano Francesco De Sanctis 18 mette in parallelo Schopenhauer e Leopardi.

Ambedue pongono a principio del mondo un potere cieco e maligno, per l’uno si chiama Wille, per l’altro Natura.

Per Schopenhauer bisogna morire senza cessare di vivere, mentre Leopardi produce l’effetto contrario a quello che egli si propone. “Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria, la virtú, e te ne accende in petto un desiderio inesausto”, scrive il De Sanctis.

In una poesia, dal titolo “Risorgimento” 19 Leopardi mette in musica non già il risorgimento politico ma quello soggettivo. La forma di questa poesia non è attraente poiché ricorre al poetare antiquato delle rime baciate e crea così un contrasto tra la profondità del testo e la sua forma, che chiamerei ridicola. Il risorgimento è il racconto della sua vita, articolata in quattro momenti. Ci sono innanzitutto i doni della natura che gli affanni non hanno annullato ma dove si prova un desiderio insaziabile, causa di catene d’infelicità. Poi, secondo momento, la luna si estingue, ed è il massimo del dolore. Terzo momento: c’è un tramonto al pianto: è la condizione di una “disperazione placida” dove addirittura il desiderio di morire si spegne. Al quarto tempo tutto si capovolge sebbene la Natura rimanga muta. Il poeta non può contare che su di sé.

Leopardi si rivolge al proprio cuore:

Ogni conforto mio
Solo da te mi vien.

Due verità che gli uomini generalmente non crederanno mai: l’una di non saper nulla, l’altra di non esser nulla.

Intervento in italiano al Congresso dell’Association Mondiale de Psychanalyse - Parigi - febbraio 2024.

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