Dante, eretico
Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo,
due soli aver, che l’una e l’altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pastorale, e l’un con l’altro insieme
per viva forza mal convien che vada
Dante, tramite Marco Lombardo, illustra la sua visione del mondo nel XVI canto del Purgatorio. Ci sono due soli: il Papa e l’Imperatore.
Come sfondo, c’è un passo del Convivio (IV, v, 3-4):Dio invia sulla terra suo Figlio per riscattare gli uomini dal peccato originale. Ma sia il Cielo (ossia la sfera spirituale) sia la Terra (ossia la sfera temporale) devono essere nella disposizione adeguata. E a tale scopo occorre il governo imperiale per le cose terrene e il governo papale per le cose spirituali.
Su questo punto Dante è eretico. Eretico nel duplice senso del termine.
E’ eretico in quanto fa una scelta, scelta che è contraria alla sua appartenenza politica.
Appartenenza politica che è ampiamente conosciuta da quando eravamo sui banchi di scuola, almeno per il fatto che lui, guelfo, fu bollato di essere un “ghibellin fuggiasco”, e quindi nemico – e non a torto - del Papa e degli esecutori della sua condanna all’esilio (condanna messa in atto dai famosi frati godenti fummo e bolognesi”).
Dante è quindi fautore della visione ghibellina del mondo, rappresentata dai due soli, e non già fautore della visione guelfa, la quale metaforizza il potere papale nel sole e quello dell’imperatore nella luna, luna che non fa altro che emanare una luce riflessa.
Ma Dante è eretico anche perché si oppone frontalmente a san Tommaso d’Aquino.
Noi sappiamo che la Divina Commedia è, tra l’altro, una trasposizione in poesia della Summa theologica di san Tommaso, e in quest’ottica Beatrice è l’incarnazione della teologia stessa. Dante segue pedissequamente l’Aquinate, ma se ne discosta rispetto a un punto preciso: alla politica.
Prendiamo un autore dantesco, amato da Lacan.
Questo autore non è René Guénon, prolifico divulgatore di tanti sproloqui, tra cui uno sull’esoterismo di Dante 1 . Lacan considerava Guénon un perfetto imbecille.
L’autore dantesco amato da Lacan è Etienne Gilson.
Gilson mette in parallelo un passo del De Regimini principum ( I, 14) di san Tommaso e un passo del De Monarchia (III, 3) di Dante.
Scrive san Tommaso che al Romano Pontefice, vicario di Cristo e successore di Pietro “omnes reges populi christiani oportet esse subditos, sicut ipsi Domino nostro Jesu Christo” [al Romano Pontefice tutti i re del popolo cristiano devono essere sudditi, come lo si è a Gesù Cristo].
Scrive invece Dante che al Romano Pontefice, vicario di Cristo e successore di Pietro “non quidquid Christo sed quidquid Petro debemus” [al Romano Pontefice non dobbiamo ciò che è dovuto a Cristo, ma solo ciò che è dovuto a Pietro].
Gilson nota: “Tutto il problema è condensato in queste due frasi, di cui colpisce l’opposizione quasi letterale […] Sono due frasi in flagrante contraddizione 2 ”. Ambedue riconoscono la supremazia temporale di Cristo, ma san Tommaso afferma che il Cristo ha trasmesso la sua duplice regalità a Pietro e ai suoi successori. Dante, al contrario, dice che se il Cristo, in quanto Dio, ha posseduto la sovranità temporale, di questa sovranità tuttavia “non ha mai fatto uso”. E Pietro e i suoi successori non devono farne uso. Non è competenza di Pietro e dei suoi successori l’uso del potere temporale.
Tra Dante e san Tommaso le posizioni in politica sono inconciliabili.
La visione politica di san Tommaso è teocratica, non diversa da quella che l’Islam ha avuto e ha ancora. La visione politica di Dante è juxta modum moderna. Non è atea. E’ laica, ossia la sfera spirituale è altra cosa rispetto alla sfera temporale.
Nei secoli la lotta tra le due sfere ha alterne vicende. Nel VI secolo L’Imperatore Giustiniano tratta Papa Pelagio come un suo portaborse. Quattro secoli dopo, nella guerra Papato/Impero per le investiture, Gregorio VII aspetta che l’Imperatore Enrico IV venga a Canossa. Napoleone, nonostante Dio si sia appannato nel frattempo, non tratta meglio Pio VI di come l’Imperatore di Costantinopoli avesse trattato il Papa romano.
La separazione netta tra potere temporale e potere spirituale avviene solo agli inizi del 1600 a Venezia, città eretica per eccellenza, a proposito del potere giudiziario. Il teologo servita Paolo Sarpi si fa paladino della Serenissima contro il potere di Papa Paolo V per una questione di delitti commessi da religiosi. Al contrario, al giorno d’oggi, Papa Bergoglio licenzia il Cardinale Pell perché si difenda in un tribunale australiano da un’accusa di pedofilia.
Eppure un secolo fa, nel 1921, ossia dopo quella Grande Guerra che segna un cambiamento epocale nelle ideologie e negli imperi, Benedetto XV, nell’enciclica per il sesto centenario della morte di Dante, dopo averlo osannato a lungo, dice in sordina il suo rammarico perché Dante afferma che la dignità del potere temporale proviene direttamente da Dio 3 .
Sulla base che sia san Tommaso sia Dante sostengono le loro affermazioni sulla base che Dio Padre non è al momento ancora evaporato, l’eretico Dante si dimostra più lungimirante della posizione del suo santo antagonista.
Se mettiamo in parallelo la politica di Dante con quella di Lacan, che cosa troviamo ? Tenendo conto che il quadro di riferimento è del tutto mutato poiché siamo all’epoca dell’Altro non esiste, concordiamo con Dante che il potere religioso è di un altro ordine rispetto al potere politico, al quale non deve pretendere di sostituirsi. Il politico si riferisce al discorso del significante padrone, e si svolge a livello del godimento fallico. Diversamente è, o dovrebbe essere, il discorso religioso, che è segnato dal non-tutto e che di conseguenza dovrebbe rifuggire da ogni forma di padronanza.
Intervento al Convegno della SLPcf - Torino, luglio 2017.
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