Beatrice

Di Di Ciaccia, 2022
Ca. 10 min. de lettura

Tanto gentile e tanto onesta pare

La donna mia quand’ella altrui saluta,

Ch’ogne lingua devien tremando muta,

E li occhi non l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,

Benignamente d’umiltà vestuta;

E par che sia una cosa venuta

Da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,

che dà per gli occhi una dolcezza al core,

che ’ntender non la può chi non lo prova:

e par che de la sua labbia si mova

uno spirito soave pien d’amore,

che va dicendo a l’anima: Sospira 1 .

Termina così, «Sospira», uno dei più bei sonetti della Vita Nova.

In quella parte del libro della mia memoria, scrive Dante, Incipit Vita Nova, comincia una nuova vita. Si tratta del proemio di un’opera composta in poesie e in prosa, in cui Dante celebra la sua gentilissima donna: Beatrice.

Dante racconta di averla incontrata per la prima volta quando Beatrice aveva nove anni e tre mesi, e lui, dei suoi nove anni, all’ultimo trimestre. Beatrice era vestita con un abito di «nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno» 2 , come conveniva alla sua giovane età. Al vederla, «lo spirito della vita [di Dante], lo quale dimora nella secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente che apparia ne li menimi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole: “Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi”» [Ecco il dio più forte di me, che venendo sarà il mio padrone].

Dante la vide e «lo spirito animale» più elevato, quello che si percepisce tramite lo sguardo e l’immagine del viso, «disse queste parole: “Apparuit iam beatitudo vestra”. [Apparve così la vostra beatitudine] […] D’allora innanzi dico che Amor segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui disponsata».

Veder Beatrice, un vero miracolo di Dio, spinge l’anima di Dante a sentirsi soggiogata e ormai promessa sposa all’Amore.

Nove anni dopo, quando Dante e Beatrice avevano 18 anni (due volte nove), ecco che «questa gentilissima […] apparve a me vestita di colore bianchissimo, in mezzo a due gentili donne […] e volse gli occhi verso quella parte ov’io era molto pauroso, e […] mi salutoe molto virtuosamente, tanto che mi parve allora vedere tutti li termini della beatitudine» 3 . Era l’ora nona di quel giorno, e fu la prima volta che «le parole» di Beatrice «si mossero per venire a li miei orecchi». Dante corse allora a chiudersi in una camera e pensando a questa «cortesissima» gli sopraggiunse un «soave sonno ne lo quale m’apparve una meravigliosa visione» dove in una «nebula di color di fuoco […] io discernea una figura d’uno segnore di pauroso aspetto a chi la guardasse […] e ne le sue parole dicea molte cose, le quali io non intendea se non poche; tra le quali intendea queste: “Ego dominus tuus”. [Io sono il tuo signore]. Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda salvo che involta mi parea in un drappo sanguigno leggermente […e] conobbi ch’era la donna della salute [ossia Beatrice], la quale m’avea lo giorno dinanzi degnato di salutare». E questo signore [ossia l’Amore] aveva in mano una cosa che ardeva e parve dirmi: «Vide cor tuum» [Guarda il tuo cuore], cuore che fece mangiare alla donna dopo averla svegliata. Il sogno termina quando, dopo aver pianto, l’Amore prende nelle braccia questa donna e se ne va in cielo. Dante si sveglia, e scrive un sonetto rivolto a «tutti li fedeli d’Amore». Due incontri, un sogno, dove la fanno da padrone lo sguardo e la voce. Sguardo e voce all’opera, anche quando Dante tenta di tenere segreto l’amore per Beatrice. A questo scopo Dante si serve, come schermo, di un’altra donna, per fungere da «schermo della veritate […] Con questa donna – dice – mi celai alquanti anni e mesi» 4 , e facendole, a questa donna «schermo di tanto amore», delle «cosette per rima». Ma non fu l’unica donna-schermo. Altre vennero a mascherare il desiderio di Dante per la sua gentilissima donna.Beatrice tuttavia non apprezza affatto queste «cosette per rima» che Dante rivolge alle donne-schermo, tanto che, incontrandolo, «mi negò – scrive Dante – lo suo dolcissimo salutare, ne lo quale stava tutta la mia beatitudine» 5 .

E da qui: catastrofe! Pianti, pianti e lamenti!

Altro sogno: l’Amore, con un linguaggio incomprensibile, oscuro, spinge Dante a prender atto che lui necessita di una «trasfigurazione». Solo tramite un radicale mutamento, Dante potrà capire che la felicità non consiste nel ricevere qualcosa dalla donna amata, quanto piuttosto nel darle il proprio amore. Ma come si fa a dare il proprio amore? Basta solo cantare le lodi della bella.

Muore il padre di Beatrice. Neri pensieri e perfino allucinazioni appaiono allora, naturalmente sempre all’ora nona.

Dante, «come farnetica persona» 6 , delira sulla propria morte, delira sulla morte della sua Beatrice, fino a vederla, in un’«erronea fantasia», come «donna morta» 7 .

Annunciata, la morte di Beatrice avviene realmente, «quando lo segnore de la giustizia» 9 , ossia Dio, la chiamò. Dante per tre motivi non vuole esprimersi su questa morte, anche perché, dice, «non sarebbe sufficiente la mia lingua a trattare come si converrebbe di ciò» 8 .

Si sofferma tuttavia lungamente a chiosare sul numero tre e sul numero nove, svelandone il significato: «[…] questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch’ella era uno nove, cioè uno miracolo, la cui radice, cioè del miracolo, è solamente la mirabile Trinitate» 10 . Il numero tre è, infatti, la radice del numero nove. Forse, conclude Dante, qualcun più sottile di me farebbe una cosa più sottile ancora, ma questa «è quella che io veggio, e che più mi piace» 11 .

Per Dante un filo rosso lega questo trio: Beatrice, Amore, Dio.

Malgrado questo solido trio, Dante dice di essere «più volte combattuto in me medesimo» 12 , poiché è come se Amor gli facesse apparire davanti a sé altre donne, come quell’altra «gentile donna, giovane e bella» 13 , che «li occhi miei si cominciarono troppo di vederla» 14 . «Maledetti occhi» 15 , impreca Dante, diviso in due. Di queste due parti in cui è scisso, dice Dante: «L’una parte chiamo cuore, cioè l’appetito, l’altra chiamo anima, cioè la ragione» 16 . Ma in questa lotta tra il cuore-appetito che spinge Dante verso un’altra donna giovane e bella e l’anima-ragione che lo dissuade dal cedere alla tentazione, prevale, dice, il «maggiore desiderio era lo mio ancora di ricordarmi della gentilissima donna mia» 17 . Il desiderio verso Beatrice supera ogni altro desiderio.

Infine un’ultima visione, che rimane, nel testo, segreta. Scrive Dante: «[…] apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta [Beatrice] infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono [ossia Dio], che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna. E poi piaccia a colui che è sire della cortesia [ossia Amore], che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus [e qui, di nuovo, è convocato Dio]» 18 .

Effettivamente Dante tratterà degnamente di Beatrice poiché la canta in tutta la Divina Commedia. E, per cantarla, Dante si serve solo di due strumenti: lo sguardo e la voce.

Nel Purgatorio, Dante vede Dio solo tramite lo sguardo di Beatrice.

Nel Paradiso, Dante per arrivare a vedere Dio gli occorre una specie di cordata, fatta di sguardi e suppliche che vanno da Beatrice, a santa Lucia, a san Bernardo da Clairvaux, e infine alla Vergine Maria, l’unica vera chiave del desiderio di Dio. Solo tramite lei Dante può accedere alla visione beatifica e contemplare il Dio uno e Trino direttamente.

Ma che vede?

Nella profonda e chiara sussistenza

Dell’alto lume parvemi tre giri

Di tre colori e d’una contenenza (Canto XXXIII, v. 115-117)

Insomma, vede un nodo borromeo. Ma vederlo è goderne.

Come, infatti, Dante aveva appena detto:

La forma universal di questo nodo

Credo ch’i’ vidi, perché più di largo,

Dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.(Canto XXXIII, v. 91-93)

Beatrice, chi era? Una donna reale? Un’idealizzazione della donna? Una figura allegorica?

Portata all’estremo, non è forse la raffigurazione della Domina dell'Amor cortese, la quale è qui addirittura angelicata?

La beatificazione di Beatrice effettuata da Dante ha alimentato un’enorme letteratura su questa figura che rappresenterebbe una miriade di simboli religiosi, tutti più o meno consoni con la teologia di san Tommaso d’Aquino.

Per Boccaccio, Beatrice era una persona realmente esistita. Boccaccio, autore della prima biografia di Dante, era quasi suo contemporaneo. Boccaccio sminuisce il ruolo e il valore di Beatrice, essendo ormai lui al di là del tempo del «dolce stil nuovo», tuttavia non mette mai in dubbio l’identificazione di Beatrice con Bice Portinari, figlia di un ricchissimo banchiere – la cui famiglia, un secolo dopo, finanzierà il pittore fiammingo Hugo van der Goes, autore del famoso Trittico degli Uffizi.

Dante indirizza il suo gentil amor cortese a una giovane fiorentina, la quale, però, è ben al di fuori delle sue possibilità reali. Del resto, ben presto, Beatrice si sposa con Simone de’ Bardi e, a 24 anni, muore di parto nel 1290. Dante aveva già terminato la Vita Nova. Parla della morte ma non si cura affatto del matrimonio di Beatrice.

Poco dopo la morte di Bice Portinari, Dante si sposa con Gemma Donati, a cui era già legato da almeno una decina d’anni. Gemma non seguirà Dante in esilio. Eppure gli diede diversi figli, tra cui Piero, il primo commentatore della Divina Commedia, e Antonia la quale sarà a Ravenna a chiudere gli occhi del padre morto e poi sarà lei a chiudersi in convento con il nome di suor Beatrice.

Beatrice fa esplodere la divisione soggettiva di Dante. Sebbene tutto preso dall’amore angelicato per lei, Dante barra con un totale, perpetuo silenzio il suo rapporto coniugale con Gemma. In verità la sua libido era esplosa, almeno in età giovanile. Ne fa fede un poema che, a fatica, i critici hanno potuto considerare frutto della penna del poeta dell’amore angelicato, tanto è sconcio, volgare, veramente cochon, poema dal titolo eloquente de Il Fiore.

Allora chi era veramente Beatrice?

Dante è un poeta. Beatrice è la creazione di un poeta. Sebbene possa essere stata una creazione ispirata dall’incontro con una giovane donna fiorentina: Bice Portinari 19 .

Ciò che a noi interessa è che, tramite Beatrice, emerge quello che Lacan chiama «un punto analitico» 20 ben più di quanto Dante ne sapesse, testimoniando a suo modo quello che Lacan ha chiamato «la funzione dell’oggetto (a)», e dell’oggetto (a) che qui ha un nome: «lo sguardo».

«Nella misura in cui è un poeta legato alla tecnica dell’amor cortese, Dante trova, struttura quel luogo eletto in cui si delinea un certo rapporto all’Altro in quanto tale, sospeso a quel limite del campo del godimento che ho chiamato “il limite della brillanza o della bellezza”».

Intervento in italiano al Congresso dell’Association Mondiale de Psychanalyse - Parigi - aprile 2022.

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