JACQUES LACAN – Di una riforma nel suo buco
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GIACOMO MARRAMAO – Parole e pratiche del sistema-mondo. Tra Simbolico e Reale
ANTONIO DI CIACCIA – La politica della parola
NADIA FUSINI – La passione della lettura
E articoli di: MICHELE CAVALLO, DOMENICO COSENZA, EMILIA CECE, JEAN-LOUIS GAULT, PHILIPPE DE GEORGES, ALFREDO ZENONI, MATTEO BONAZZI, CARLA ANTONUCCI, BRUNO DE HALLEUX, MARC SEGERS
A proposito di un articolo di Lacan per “Le Monde”
Il 3 febbraio 1969 Lacan invia a un quotidiano un breve scritto. Nonostante fosse stato richiesto, questo articolo non fu pubblicato, come spiega Lacan stesso nel corso del Seminario dell’anno seguente:
Antonio Di Ciaccia
“Si dà il caso che io abbia scritto un breve articolo sulla riforma universitaria, che mi era stato espressamente richiesto da un giornale, il solo che abbia una reputazione di equilibrio e di onestà, che si chiama “Le Monde”. Si era insistito molto perché scrivessi questa paginetta a proposito della riforma, della riorganizzazione della psichiatria. Ora, malgrado questa insistenza, è abbastanza sorprendente che questo breve articolo, che un giorno forse mi deciderò a pubblicare, non sia affatto passato.
In esso parlo di una riforma nel suo buco. Appunto, con questo buco vorticoso manifestamente avrebbero dovuto arrangiarsi diverse misure concernenti l’Università. E ahimé, rapportandosi correttamente ai termini di certi discorsi fondamentali, bisognerebbe avere certi scrupoli, diciamo, per agire, bisognerebbe pensarci due volte prima di precipitarsi ad approfittare delle linee che si aprono. È una responsabilità veicolare la carogna in quei corridoi.
Ecco a che cosa le nostre osservazioni di oggi, che non sono correnti, che non sono comuni, dovranno essere articolate”.1
Lacan prosegue la lezione del Seminario di quell’anno su quanto egli chiama un “enigma della lingua francese”, ossia sull’agente di un discorso, poiché “l’agente non è affatto necessariamente colui che fa, ma colui che è fatto agire”. E si tratta proprio di questo.
L’articolo puntualizza la posizione di Lacan rispetto a una problematica: la riforma universitaria. Per illustrarla egli prende come esempio il dibattito in corso, all’epoca in Francia, sui rapporti tra neurologia e psichiatria. Lacan ricorda che coloro che volevano in quel momento separarle erano stati proprio gli stessi che precedentemente si erano battuti per unirle. In realtà, nei due casi, Lacan non ci vede nient’altro se non manovre per tenere stretto il potere. Insomma, manovre da baroni.
Nel dibattito Lacan interviene a partire da un’angolazione diversa: che la si pensi come si vuole, i laboratori farmaceutici sono loro ad aver conquistato il campo e ormai la chimica la fa da padrone. Inoltre la psichiatria, diventata “sociatria”,2 si troverà a essere invischiata nella gestione di quegli effetti segregativi che provengono dal discorso scientifico. Comunque, nonostante il cervello sia un “incrocio” anche per la psichiatria, tuttavia “nessuna formazione è più inadatta di quella del neurologo per preparare a cogliere il fatto psichiatrico”.
Lacan constata che l’Università non è stata all’altezza del compito che essa ha rispetto al sapere. E ora, ancor più, con la riforma, l’Università, istituendo le cosiddette “unità di valore” a cui gli studenti vengono invitati per non dire costretti a identificarsi, in realtà non fa altro che piegarsi alla società dei consumi, dove il valore del sapere è sottoposto a quello che Lacan chiama la sovversione prodotta dal mercato. Ma a questo punto ciò che è svalutato è proprio il sapere, poiché – ricorda Lacan con un tono beffardo – “il sapere non si acquisisce con il lavoro”. Basta chiederlo a una madre di famiglia, la quale lo sa perfettamente.
A questo punto si rivela la vera funzione dell’Università. Funzione che era rimasta nascosta finché l’Università non faceva altro che produrre dei professori. Ma ora non è più così, poiché il discorso dell’Università chiede ai lavoratori universitari, ossia agli studenti, di lavorare per produrre il soggetto della scienza. E di produrlo sulla propria “pelle”.3
“Qual è dunque la quotazione di valore inerente al sapere?”, si domanda Lacan. “È a questo punto che sopravviene la funzione che si articola unicamente a partire dalla teoria psicoanalitica, quella che ho annodato con gli effetti del sapere con cui si inaugura il soggetto, come effetto di perdita, che un taglio nel corpo viene a significare – e questo sotto la denominazione algebrica dell’oggetto (a). Da leggere: piccolo a”.
Tuttavia, al di là di passaggi da riprendere in dettaglio, che cosa Lacan propone?
A mio parere, in soldoni, propone il cammino di un’esperienza analitica. Ma quale? Ancora una volta Lacan, in modo sarcastico, dice che di solito “basta un ideale pescato chissà dove” e la messa in moto di “un Altro supposto sapere”. Insomma, è la pietanza che solitamente “l’analista osa offrire come transfert”. Mi sembra chiaro che da simili analisti, “iloti parcheggiati”, c’è ben poco da attendersi. Alla quieta via analitica Lacan oppone “la sola che esige un lavoro”, quella della faccia tosta che si mette a produrre una verità.
Una nota a proposito dell’aggettivo con cui Lacan fregia il buco: vivide. A mia conoscenza, il termine non esiste in francese. Può darsi che Lacan l’abbia tratto dal vividus latino, che vuol dire pieno di vita. Noi l’abbiamo letto come un mot-valise, ossia un termine composto dal prefisso vivi- e dal termine vide, vuoto: “vuoto ma finalmente vivo”.
Lacan ci ricorda qui che è questo il cammino tracciato dalla nevrosi per il compito assegnato allo psicoanalista. Compito che lo psicoanalista potrà svolgere solo se è nel disessere, vale a dire se il suo desiderio è libidinalmente svuotato e punta in modo risoluto a non essere nient’altro “se non desiderio di sapere”.
Ecco che cosa Lacan propone a chiunque voglia cimentarsi in qualunque insegnamento che formi alla scienza. Ecco che cosa propone ai giovani, i quali, anche se fossero pronti a nuove sommosse, saranno sommersi a profusione da quella miriade di oggetti, oggetti inutili, prodotti dal capitalismo.
Nella sua lezione del Seminario del 12 febbraio 1969 Lacan riprende un passo del suo articolo e si dice turbato “quando sento delle brave persone enunciare dopo il subbuglio di Maggio: Mai più come prima. Io penso che, al punto in cui ci troviamo, è più che mai come prima”.5 Da qui ne deduce che possiamo prevedere che l’orizzonte della nostra epoca sarà “il campo di concentramento generalizzato”. Riprendendo l’inizio del suo testo, portando l’esempio di quanto ci insegna l’associazione libera, Lacan ci ricorda che non impariamo nulla dal passato e quello che ci sembra contingente nel presente è già presente come necessario solo volgendoci al futuro. L’articolo termina così con un’affermazione di alto tenore politico, molto attuale: “Il vincitore ignoto di domani, fin da oggi è lui che comanda”.